martedì 26 settembre 2006

Dio-Padre.


Gli avvenimenti degli ultimi giorni in campo "interreligioso", le presunte o reali reciproche offese, i lodevoli ma ancora immaturi tentativi di dialogo fra Islam e cattolicesimo, mi hanno ancora una volta fatto riflettere sull'imperscrutabilità di quello che chiamerei... Assoluto, ciò che comunemente si dice “Dio”, e sulle concezioni che gli uomini se ne fanno. La mia impressione è che, sebbene da sempre si cerchi di comprendere e definire l’Ulteriore - e talvolta lo si percepisca anche concretamente nella fede attraverso uno slancio intuitivo e appassionato - la mente poi finisca quasi sempre con il proiettare su di Esso i limiti, le opinioni, le credenze tipicamente umane – anche nel senso peggiore. In questo senso mi sembra che le osservazioni della psicanalisi o della psicologia possano tuttora essere utili per capire quanto accade nella religione e osservare come gli uomini sovrappongano al divino delle immagini per lo più legate alla figura archetipica ed edipica del "Padre". "Dio" è visto quindi in chiave antropomorfa e personalistica come Sovrano, Genitore, Maestro, come un'autorità maschile da temere e amare, di cui rispettare le regole più o meno rigide e inviolabili. Egli ha le sue “opinioni” ben precise sulla famiglia, sul comportamento individuale, sulla società, sull’etica. Essere “credenti” o “devoti”, dunque, vuol dire essenzialmente obbedire alla Sua Legge e rispettarla, come figli e come sudditi, o addirittura servi. In effetti l’immagine di Dio cambia nelle varie culture a seconda di come in esse si concepisca il padre e di come si immagini il sovrano ideale: giusto, severo, compassionevole, inflessibile, flessibile, amorevole, spietato, guerriero, pacifico, eccetera. Talvolta, nelle diverse società religiose, può risaltare di più il Suo aspetto di Signore degli Eserciti, talaltra quello di Pater Familias… Tutto ciò, naturalmente, accade particolarmente nei culti monoteisti, che sostanzialmente hanno come loro caratteristica peculiare – e forse principale – quella di avere eliminato la figura femminile in seno alla divinità, salvo poi a riscattarla o valorizzarla come Madre pietosa, Sposa sottomessa o simili. Le religioni del mondo antico, invece, ammettevano con piena dignità accanto ai descritti aspetti maschili della divinità, anche deità femminili in contatto profondo con la vita e con l’amore. Gli antichi personificavano anch’essi le forze divine conferendo loro i caratteri degli uomini e delle donne, le loro passioni, la loro maternità o paternità, il loro essere di volta in volta più vicini all’istinto o alla ragione, all’amore o al rigore. Però non sempre le rappresentazioni erano antropomorfe, perché ad un livello più filosofico ed elevato gli antichi sapevano, ad esempio, immaginare la dea Afrodite come la spirale della vita, la grande e misteriosa forza che sta alla base dell’esistenza. Nel mito e nel simbolo i greci pensavano, inoltre, ad una potenza misteriosa di cui gli Dei stessi avevano timore, perché li sovrastava: Oudèn, il Vuoto, il Nulla, e non possiamo non raccogliere l’analogia con l’Ain Soph e l’Esistenza Negativa dei cabalisti ebraici oppure con lo Shunyata buddista. Anzi, proprio procedendo verso Oriente questo doppio aspetto del divino – quello personalistico e antropomorfo e quello inconoscibile e impersonale – diventavano (e sono tutt’oggi) sempre più consapevolmente accettati e coesistenti agli occhi del religioso, anche a livello comune e popolare.