giovedì 20 dicembre 2007

In soffitta.


Fra vecchie e polverose carte, per così dire in soffitta, ho trovato un mio vecchio componimento. Il foglio è un pò ingiallito, l'inchiostro ha perso colore e consistenza. C'è una data: 20 febbraio 1989. Sono quasi trascorsi 19 anni... Si tratta di una preghiera, una sorta di preghiera. Voglio qui trascriverla come momento di riflessione per me: consiglio a tutti di annotare i propri pensieri, di conservarli e poi di riguardarli a distanza di tempo: si avrà un piccolo segnale autoconoscitivo del proprio percorso...



Altissimo Signore, Dio di Adamo,

il cui nome eterno è Legge e Severità,

fa ch'io trovi nel rispetto per ogni creatura

lo Splendore della Tua Giustizia.



Altissimo Signore, Padre del Cristo,

il cui nome misericordioso è Verbo e Amore,

fa che, nella visione dell'Unità,

io scopra qui in Terra il Tuo Regno Celeste.



Altissimo Signore, Allah di Maometto,

il cui nome terribile è Re della Guerra e degli Eserciti,

fa ch'io abbia la mia più grande e vera Vittoria

nel conoscere me stesso.



Altissimo Signore, Brahman potentissimo,

il cui nome vibrante è Profondità e Immensità,

fa ch'io possa specchiarmi nei Tuoi infiniti occhi

e vedere nelle nostre innumerevoli nascite e morti

solo Te e la Tua Presenza.



Altissimo Signore, Buddha beato e compassionevole,

il cui nome sublime è Perfezione e Liberazione,

fa ch'io possa abbandonare il Dolore e la Ruota Vorticosa delle esistenze,

senza per questo rifiutare la Vita.



Altissimo Signore, Tao inconoscibile,

il cui nome misterioso non può essere pronunciato senza impoverirne il Senso,

fa ch'io possa parlare, testimoniare,

mangiare, respirare, vivere,

solo di Te.

giovedì 29 novembre 2007

Il ciclo di nascita e morte.


Preso da uno slancio riassuntivo delle concezioni sulla morte nelle varie impostazioni filosofico-religiose e nel pensiero comune, mi sembra che in definitiva esistano solo due idee principali e contrapposte:

1. con la morte finisce la vita; dunque essa è un annullamento, un annientamento. Non c'è nulla "oltre". La vita si identifica con la materia, con la dimensione fisica visibile e con i sensi ordinari.

2. l'anima sopravvive al trapasso perché immortale ed eterna. Nell'ambito di questa visione, poi, si ipotizzano diverse forme di sopravvivenza: per esempio quella in un aldilà definitivo, in vicinanza o meno del divino, come nel cattolicesimo; oppure si pensa alla trasmigrazione o reincarnazione dell'anima immortale in successivi corpi fisici, per vivere ulteriori vite, come nell'induismo.

Il buddismo, insieme ad alcune vette del pensiero "esoterico" d'occidente, per ciò che riesco a comprendere, non è in totale accordo con nessuna delle due concezioni - considerandole non corrette. Tuttavia valuta che ci sia qualcosa di vero in ambedue, essendo espressioni di verità parziali.

Il nostro "io" così come lo conosciamo è un prodotto dei fattori che lo hanno generato: elementi genetici prima e dopo la nascita, condizionamenti culturali, ambientali e via dicendo. Nel buddismo tutte queste componenti che costituiscono la nostra personalità e l'io sono chiamati i "cinque aggregati": forma, percezione, concezione, volizione e coscienza. Nell'esoterismo "di punta" si parla di corpo fisico, astrale, mentale istintivo, mentale inferiore e superiore, ma i concetti sono analoghi: tutto quanto costituisce la nostra "stuttura", tutto ciò con cui ci identifichiamo, i nostri corpi e aggregati, è transitorio, condizionato e soggetto a "morte", a mutamento e disgregazione. Cioè, in altre parole, il "Maurizio" quale io mi sento è un fenomeno transitorio e impermanente, condizionato e deperibile come tutti gli eventi del mondo manifesto. Pur dando credibilità a dimensioni ultra-fisiche, psichiche o altro, queste considerazioni affermano che la realtà del nostro io, del nostro fisico e della nostra psiche, è identificabile con un meccanismo, una sostanza condizionata e soggetta a nascita-crescita-morte, e quindi si possono accostare a quei punti di vista moderni ateistici o materialistici che negano ogni sopravvivenza e ogni realtà sopra-sensibile.

Tuttavia il buddismo non si limita a questo, particolarmente negli sviluppi del Mahayana e del Sutra del Loto, affermando che comunque esiste all'interno della vita sia universale che individuale un quid eterno, da sempre e per sempre. Questa sorta di vera identità profonda e stabile non ha però nulla a vedere con l'anima quale normalmente è concepita. Si tratta infatti, in questo caso, di una forma di coscienza che non si risolve nei sensi fisici, nella psiche o nella mente, e neanche con il senso dell'io che con ciò si identifica, e non è legata neanche al Karma, cioè ai condizionamenti, pur essendo tutte queste cose parte di essa e sua espressione.

Tutto ciò è forse complesso, difficile da spiegare e da esaurire, però in definitiva possiamo osservare:

1. è vero che l'io finisce, perché è esso stesso un fattore condizionato, limitato e impermanente. Quindi si muore.

2. è vero che esiste una base eterna della coscienza e della consapevolezza, di difficile descrizione, in relazione con la vita universale e con quella individuale, che costituisce il filo conduttore, la spiegazione, per così dire la causa e il punto di arrivo delle nostre esistenze, pur essendo qualcosa che è oltre il tempo e quindi che non subisce trasformazione e divenire.

Concludo con una considerazione: gli assunti del buddismo non sono tanto delle speculazioni, quanto delle percezioni profonde della realtà che, magari, poi vengono anche sistematizzate in forma logica e speculativa. Essendo percezioni sulla natura della vita, di cui tutti facciamo parte, sono semplici e immediate, in un certo senso sperimentabili. Non è forse vero che tutti noi sappiamo che la morte c'è, che tutto quanto conosciamo è impermanente e, al contempo, non sappiamo tutti che c'è qualcosa di indefinibile e di eterno non soggetto a nascita e morte?

A me sembra proprio così...

mercoledì 14 novembre 2007

L'isola dei famosi.


Vorrei provare a dire qualcosa sull'"Isola dei famosi", il reality show. Non nel senso delle considerazioni più o meno critiche sul fenomeno "reality", sulla TV trash, eccetera, eccetera. Vorrei anzi dire che trovo piuttosto interessante quanto viene mostrato in questo show, e l'idea che ne è alla base mi sembra intrigante.

In alcune società primitive esistono dei "riti-di-passaggio", per esempio quello dall'adolescenza all'età adulta per gli individui maschi di certe etnie, nei quali i componenti di un gruppo, di una fascia sociale, di una tribù, vengono lasciati nella foresta, senza aiuto, soli, a dimostrare la loro possibilità di cavarsela, il coraggio, il loro essere "adulti", oppure per manifestare e controllare "poteri" sciamanici in relazione alle forze naturali, agli spiriti, e via dicendo.

Il programma televisivo in questione non è, da un lato, paragonabile a queste tradizioni che hanno la loro realtà, spontaneità e verità: qui è tutto costruito, apparente, legato comunque ad un altro tipo di società, la nostra, ed ha significati immediati completamente diversi - è soltanto uno show, e il suo principale obiettivo è l'audience, la pubblicità e tutto quanto collegato. Però, forse, nel profondo, le analogie ci sono: forse si tratta davvero di un "rito-di-passaggio" partorito dalla nostra cultura moderna e adatto ad essa con tutte le sue caratteristiche, per esempio la componente televisiva dell'effimero e dell'immagine. Un rito cui, però, partecipano sia i protagonisti che gli spettatori attraverso l'identificazione, come in un dramma catartico.

I "famosi" che gradualmente diventano anche affamati e i "non-famosi" che aspirano alla notorietà, in fondo, rappresentano molto efficacemente noi occidentali moderni e la nostra società che ha fatto naufragio, e in cui la fame principale, il bisogno primario, è quello di ritrovare sé stessi, la propria umanità, i valori profondi, il rapporto con gli altri uomini su basi di verità e collaborazione.

I famosi-affamati siamo proprio noi, nella nostra vita comune e quotidiana. Abitiamo in isole caraibiche, in paradisi artificiosi, nel cosiddetto benessere, però ci manca il necessario per l'anima, abbiamo perso la nave, la casa, ci siamo arenati su una falsa idea di successo e di piacere. Non siamo in grado di avere rapporti sinceri e basati sull'essenza, non siamo in contatto con noi stessi, ma conosciamo solo l'idea che abbiamo di noi stessi, il nostro apparire e dimostrare. Siamo naufraghi.

I protagonisti del reality televisivo, e anche noi che li osserviamo, mettono in scena la presa di coscienza di tutto questo. Durante la loro permanenza nell'isola dell'Honduras - che da un lato rappresenta l'illusione della vacanza e del successo e dall'altro è isolamento e occasione introspettiva - lasciano emergere ciò che nel buddismo si chiamerebbero i tre veleni: avidità, stupidità e aggresività. Come in un processo meditativo, come in un seminario o un workshop autoconoscitivo, si manifestano le contraddizioni, le ostilità, le meschinità - se ne prende coscienza. La televisione indugia su tutto ciò, lo sottolinea, lo utilizza come mezzo per far presa sul pubblico - forse in un processo catartico. Qualcuno dei protagonisti, poi, comincia a lasciar emergere dal profondo di sé qualcosa di diverso, di non contaminato e non oscurato dalle privazioni, dall'ego, dai veleni propri e altrui. In qualcuno emerge una forza, una semplicità, una sincera umanità che, probabilmente, va oltre il desiderio di apparire, che ha una sua realtà - proprio perchè si manifesta in condizioni difficili. Tutti i protagonisti, mi sembra, dopo l'esperienza, raccontano di aver ritrovato in tutto o in parte "sé stessi". Gli spettatori ne sono soddisfatti e affascinati, oltre ad essere ammaliati dalla consueta rappresentazione televisiva del conflitto: sì, nel profondo siamo anche stupiti dell'emergere di qualcosa che accenna al suo superamento, qualcosa di nuovo e di interiore, qualcosa che - in definitiva - attendiamo: una prospettiva di stabilità, certezza e realtà... oltre il naufragio.

martedì 16 ottobre 2007

Trets: un'esperienza buddista.


E' stato sorprendente, e neppure me lo aspettavo veramente: dopo circa dodici anni ininterrotti di adesione al buddismo, la mia pratica ha acquistato nuovo vigore e profondità. L'occasione per questo grande beneficio è stata il corso a Trets, in Francia (Provenza), presso il centro europeo della mia associazione. Io e la mia compagna abbiamo trascorso quasi quattro giorni intensi e stupendi, dove progressivamente - insieme ad altri 170 compagni di fede - siamo passati dal malumore, dalla depressione e dalla diffidenza così connaturati con la cosiddetta vita "normale" e quotidiana, ad una sorta di tranquillo entusiasmo, alla felicità, ad una gioia connessa con l'approfondimento della nostra esperienza di praticanti e la condivisione con le altre persone. I problemi, le difficoltà che tornando ritroviamo a casa sono quelli di sempre, ma ora appaiono mutati, sono affrontabili con più leggerezza, con speranza, sono risolvibili: è cambiato il nostro punto di vista, il nostro stato vitale.

Come si è potuto produrre un risultato di questo genere? Credo che uno degli elementi di questa trasformazione sia stata la comunità in senso stretto, cioè la vicinanza con le altre persone ad un livello un pò più intimo di quello che normalmente si sperimenta. Intendo dire che il racconto delle proprie esperienze, dei propri dubbi, delle difficoltà incontrate e della via che ha eventualmente condotto alla loro soluzione è un patrimonio di umanità che è facile e bellissimo condividere, perché si tratta di qualcosa di intensamente umano in cui tutti quanti possiamo riconoscerci. In virtù di questo patrimonio di pensieri e di sentimenti scambiato con sincerità, con il genuino proposito di aprirsi e di incoraggiare gli altri, si finisce con il sentirsi molto vicini, ci si commuove e si ride, il tempo trascorso insieme diventa indimenticabile e, sicuramente, reincontrandosi anche a distanza di anni è possibile percepire il saldo legame di amicizia che si è costituito in quella sia pur breve esperienza. Un altro elemento trasformativo è la pratica buddista in sé, che veicola gioia e saggezza, che porta in contatto con una condizione vitale difficile da definire, ma che si può percepire come più libera, più ampia e profonda di quella che solitamente ci appartiene. Questa percezione, inoltre, non si accresce con il tempo, cioè bisogna sentirla indipendentemente dai nostri parametri fondati sul divenire: è qui e adesso, sempre a portata di mano.

In un corso o intensivo fondato su queste basi, poiché l'esperienza è concentrata ed è sostenuta da tutta la comunità, si produce qualcosa, c'è un cambiamento dentro il cuore, una fresca novità. Che cosa sia effettivamente forse non lo capiamo subito, e saranno i mesi a venire a rivelarne la potenzialità e le caratteristiche. Quello che, però, subito è evidente è una sensazione di grande apertura e gioia, di rinnovato coraggio, di maggiore libertà.

E, anche, di gratitudine.

lunedì 27 agosto 2007

Meditazione


Ho notato che sempre più frequentemente i pubblicitari inseriscono nelle loro campagne di vendita dei riferimenti a stati di estasi, di illuminazione, con immagini di persone in posizioni di meditazione o yoga, oppure con accenni a visioni contemplative e totalizzanti. Evidentemente, dal punto di vista pubblicitario, non basta più il "sesso" come veicolo per attirare interesse su certi prodotti; oppure il target di vendita deve essere il più ampio possibile e quindi deve poter arrivare alla categoria di persone che risulta sensibile ad un richiamo "spirituale" o "new age". Certo, questo tipo di comunicazione superficializza tutto e svilisce ciò che, invece, potrebbe avere valore intrinseco.



Cos'è, in definitiva, la cosiddetta "meditazione"? Mi riferisco soprattutto a quella orientale, quella che risulta oggetto dell'interesse di cui sopra e che rischia di essere, perciò, ancora meno compresa di quanto non fosse qualche tempo fa. Alla domanda potremmo rispondere in molti modi e, soprattutto, potremmo dire che la meditazione è uno stato della mente e del cuore che può essere oggetto di esperienza ma che non può veramente essere spiegato a parole, essendo uno stato di maturità raggiunta, di profonda e consapevole comunione con la Vita. Però qui non parliamo propriamente di ciò, bensì della tecnica, dell'esercizio atto a sgombrare la strada per l'ampliamento della consapevolezza.



La tecnica in esame ha soprattuto lo scopo di ingenerare una comunicazione fra sé stessi e la propria mente, fra la propria mente e il corpo, una sorta di allineamento, di "centratura" delle proprie componenti vitali, solitamente compartimentalizzate e frammentate fra di loro. La meditazione è un tempo e uno spazio da dedicare a sé stessi in un sano atto egoico ma non egoistico: essere presenti al proprio respiro, alla forza vitale nel corpo, ai movimenti della mente. Ritrovare il ritmo, colloquiare con il Sé profondo, con il cuore, ritrovare la vita dentro di sé. Proprio come ogni giorno laviamo e puliamo il nostro corpo, così la meditazione ha lo scopo di pulire al mente, di purificarla da scorie, conflitti, fattori condizionanti, arrivando perfino a toccarne e sgomberarne le zone sub-coscienti. In tal modo è addirittura possibile creare nel proprio intimo un'attenzione e una stabilità che non muta reagendo continuamente al flusso incessante dei pensieri e delle emozioni. E' invece obiettivo della meditazione rilassarsi, rinnovarsi, fronteggiare nel migliore dei modi lo stress quotidiano, relazionarsi con gli altri intorno e con le circostanze in un modo più sicuro, aperto e consapevole.



Esistono tante tecniche meditative, l'oriente è stato molto generoso nel produrle e nel perfezionarle. La più semplice, forse, è quella di sedere con la spina dorsale eretta ma senza rigidità, a gambe incrociate sul pavimento oppure seduti su di una sedia. In questa posizione che esprime vigilanza, energia e tranquillità, si presta attenzione al respiro che entra e che esce dalle narici, alla semplice sensazione del suo passaggio. Tutto qui. La mente durante questo esercizio si distrae naturalmente, perdendo questo tipo di attenzione. La sfida consiste semplicemente nel riportarla qietamente al respiro, senza rifiutare i moti della mente stessa, i pensieri e le sensazioni, ma osservandoli come fossero nuvole passeggere che trascorrono muovendosi nel cielo. Durante questo semplice ma non semplicistico esercizio, essendo sollecitata la consapevolezza e l'apertura della mente, possono accadere molte cose: emergono emozioni e contenuti mentali accantonati o addirittura rimossi, riaffiorano ricordi, immagini, pensieri. Tutti vengono accolti e osservati, senza lasciarsi però trascinare da loro e mantenedo l'impegno dell'attenzione al respiro - che è vita. Questa descritta è forse la base, il cuore, di ogni esercizio di meditazione e, probabilmente, ne è anche il punto di arrivo: l'ampliamento della coscienza e dell'autoconoscenza. In mezzo, fra la partenza e l'arrivo, esistono molte altre tecniche, esercizi che stimolano, preparano, sostengono. Per esempio mediante l'uso di mantra. Pare infatti, secondo lo Yoga, che nel palato e nella bocca vi siano 84 punti energetici che, sollecitati attraverso la pronuncia di determinati suoni mantrici (dotati o meno di significato letterale) producono delle trasformazioni psichiche e anche biochimiche nel cervello e, di conseguenza, nel corpo.



Non è il caso di analizzare qui ulteriormente le particolarità degli esercizi e le loro molteplici caratteristiche, le varie forme che assumono anche a seconda delle scuole e delle culture in cui sono state sviluppate. Possiamo però sinteticamente considerare la meditazione in questo modo: l'atto di fermarsi e provare a sentirsi finalmente sé stessi.

martedì 17 luglio 2007

Non c'è più religione?


Come già qualche volta ho raccontato o accennato nei miei Blog, condivido con un gruppo di amici (e non solo) un certo tipo di ricerche "interiori", per le quali ci incontriamo e sulle quali discutiamo anche con opinioni divergenti. I "padroni di casa" di questo gruppo, i nostri gentili ospiti, ci hanno proposto nella scorsa riunione "estiva" due sollecitazioni alla riflessione scritta: una frase di Karl Jaspers e una versione filmata della commedia di Pirandello "La ragione degli altri". La frase di Jaspers è la seguente: "La storia degli ultimi secoli sembra insegnarci, come profondo ammonimento, che la perdita della religione trasforma tutto quanto. Si estingue sia l'autorità che l'eccezione: tutto sembra venir posto in dubbio e divenir fragile. Non vi è più nessuna assolutezza quando si arriva alla conclusione che nulla è vero e tutto è permesso. Con il disorientamento nasce il fanatismo che si chiude in strettoie e non vuole più pensare. Insieme alla religione come presenza della trascendenza svanisce la vera realtà. La religione ha perduto ogni forza, essa è come una statua che ha ancora l'apparenza splendida, ma che interiormente è già disgregata: un urto ed essa cadrà in polvere senza far resistenza ma, come per incantesimo, insieme a colui che l'ha urtata."
Per ciò che riguarda la commedia di Pirandello, consiglio di leggerla o vederla - se possibile. Sostanzialmente tratta di una vicenda piuttosto drammatica ambientata agli inizi del XX secolo. Una famiglia "bene" in cui il marito ha una relazione con un'altra la donna, la fidanzata di un tempo, forse perché la moglie non può dargli dei figli. Il rapporto fra marito e moglie si ricostruirà su una base paradossale: adottando la figlia avuta dall'altra donna e salvando in tal modo matrimonio e apparenze. L'altra donna accetta di cedere la figlia perché comprende che in tal modo le offre un futuro migliore, in una situazione agiata e facoltosa. Rimane sola e amareggiata.

Vorrei riportare qui, su questo mio Blog, la riflessione scritta che ho già proposto al gruppo degli amici. E' la seguente. La frase di Jaspers suggerisce come il mettere in discussione la religione, l'autorità e i valori connessi influenzi negativamente il benessere e l'armonia dei singoli individui e della società nel suo insieme, travolgendo perfino coloro che ne hanno contestato i principi. Questo crollo, sempre secondo il pensiero citato di Jaspers, sarebbe soprattutto legato alla perdita dell'assolutezza, di verità certe, al credere che "nulla è vero e tutto è permesso".Credo che l'armonia con il Sé, con la Coscienza, infonda equilibrio a tutte le attività umane e personalmente intendo per "religione" un contatto individuale sincero e profondo con la Legge Mistica, Dio, o come vogliamo definire quella verità fondamentale che sta alla base di tutto. Mi rendo conto, però, che di opinioni su questa "cosa" ce ne sono tante, tantissime, e che ognuna di esse è propagandata come l'ultima verità, mentre di fatto le credenze sono sempre state dei fattori di divisione e di violenza fra gli uomini. Normalmente i principi religiosi, infatti, sono - anche nelle persone più miti - quanto meno un metro di giudizio, soprattutto verso gli altri. E' molto frequente, infatti, che invece che applicarli su sé stessi, le persone tendano a volerli applicati, rispettati e realizzati dagli altri, verso i quali si rivolgono gran parte delle questioni moralizzatrici. Da questo punto di vista il pensiero citato di Jaspers risulta molto enigmatico: che cosa intendiamo per "religione" e, soprattutto, chi ne ha una giusta opinione, a quale autorità dobbiamo rivolgerci? Stiamo parlando di valori formali o sostanziali? E perché, ammesso che in passato questi valori ci fossero, oggi sono - secondo l'opinione corrente - mancanti o disattesi? A questo, mi sembra, può dare una risposta il lavoro di Pirandello: i principi impliciti ne "La ragione degli altri" e connessi con la famiglia e con la moralità sono soprattutto strumenti di violenza, di sopraffazione, e fondano probabilmente proprio su di una certa visione religiosa. Non prevale una sincera umanità, un dialogo caldo e aperto, bensì il freddo e cinico silenzio imposto dalle convenzioni, da ruoli inviolabili e da supposte autorità. Parafrasando il Vangelo direi in questo caso che gli uomini sono fatti per la Legge e non viceversa. Quelle convenzioni, alla fine, producono disastri, e a soccombere sono certamente i più deboli, coloro che non rientrano nelle regole e che non hanno il potere economico o sociale di trasformarle a loro piacimento pur conservando le apparenze impeccabili di un'illusoria moralità perbenista. Le mie reazioni alla visione della commedia di cui si parla sono la pena per quanto si è verificato in molte epoche del passato e il sollievo, l'enorme sollievo nel vivere oggi, in questo nostro mondo così contraddittorio eppure tanto più libero e consapevole. Un mondo che disattende certi valori semplicemente perché ne ha riconosciuta e rigettata la falsità, pur essendo certamente presente anche il rischio di buttare via insieme all'acqua sporca anche il bambino! Ho la sensazione precisa che l'umanità stia facendo un grande esperimento e andando verso una crescita graduale ma reale della coscienza. Verso una vera religiosità e una vera religione, sostanziale e concreta, il cui credo sia il rispetto degli altri e delle regole ma non la passiva e formale accettazione di vuote consuetudini, che non sia violenza ma apertura del cuore e della mente nei confronti di tutte le diversità che legittimamente costituiscono la famiglia umana. In definitiva, ricollegandomi anche al concetto espresso da Jaspers, la mia opinione è che oggi, finalmente, siamo un poco, soltanto un poco ma in maniera reale - senza maschere, false autorità e ipocrisie, più religiosi.

giovedì 28 giugno 2007

Vacanza.


L'etimologia di "vacanza" è la stessa di vacante, dal latino vacare e vacuus, vuoto. Si tratterebbe, dunque, di un periodo - quello della vacanza - libero da impegni, per lo meno quelli consueti, libero dal lavoro, oppure da altro in relazione con le abitudini della vita quotidiana. Parliamo, dunque, di una interruzione, di una sospensione dell'attività o di uno specifico tipo di attività, insomma di relax. Secondo quanto mi sembra di osservare, però, non è tanto facile concedersi una vacanza che lo sia veramente. Ho l'impressione che spesso durante questi periodi di svago il rilassamento non sia così immediato, e il "vuoto" non sia facile da praticare: si finisce con il riempire più che con lo svuotare, e addirittura ci si stressa proprio come si fa di solito nella vita normale. Per esempio, in vacanza si può eccedere nelle attività, nell'animazione, oppure si va insieme ad altre persone con le quali, invece di trovare un momento di distensione, si ripropongono tensioni, piccoli litigi o frizioni interpersonali che si pensava di lasciare finalmente alle spalle. Paradossalmente talvolta si cercano spiagge o ritrovi affollati, e magari ci si impegna nel traffico proprio come a casa! Anche se, in qualche modo, si riesce a trovare una situazione riposante, distensiva, senza impegni particolari, può avvenire che si sia incapaci di apprezzarla, e il vuoto diventi oppressivo, il silenzio risulti disperante, la mancanza di stimoli venga ad essere come un incubo dal quale non si vede l'ora di fuggire. Il fatto è che il "vuoto", anche quello delle vacanze, è simbolicamente - nel profondo - come una morte. In fondo se ne ha paura. Dopo aver tanto desiderato una pausa, la si riempie con ogni sorta di cose per evitare di fermarsi davvero; oserei dire: per non rimanere soli con sé stessi. C'è una paura dietro tutto ciò, una sorta di angoscia.

Eppure la vacanza è una cosa meravigliosa, rigenerante, durante la quale si può ritrovare l'essenziale, recuperare valori, essere più sé stessi. Se la si condivide con altri può essere rasserenante. Se la si fa con la persona con la quale si condivide la vita, è possibile finalmente rigenerarsi insieme, oppure insieme ritrovare la spensieratezza, la scoperta di nuovi luoghi, di antiche dimensioni. La vacanza è reintegrativa, è una grande benedizione, un beneficio possibile per molti soprattutto del mondo di oggi, ma non è scontato e non va sprecato. In realtà dobbiamo reimparare a ringraziare, ad apprezzare le possibilità che ci vengono offerte, a valorizzare. Però non è possibile farlo se stiamo male, se viviamo senza conoscere noi stessi, portandoci delle ferite insanabili nel cuore, immersi in una sottile o evidente angoscia dalla quale sappiamo soltanto fuggire.

Sto dicendo in fondo questo: che per avere delle vacanze soddisfacenti e che servano al loro scopo... bisogna star bene, avere già - prima di tentare di rilassarsi - un buon equilibrio, uno stato vitale alto, essere abbastanza distesi. Sembra un paradosso (o magari sembra ovvio) ma per riuscire a stare meglio... bisogna già vivere bene, cercando di trovare armonia ogni giorno, nella nostra vita quotidiana e con gli altri, sia nella psiche che nel corpo, ricercando ogni giorno un "vuoto" rigenerante e liberatorio, uno spazio che ci riconduca a noi stessi.

lunedì 18 giugno 2007

Catastrofi ed ecologia della mente.


Traggo la seguente citazione da un libro di Paramahansa Yogananda che sto rileggendo in questi giorni. Il grande Yogi indiano, in un suo discorso tenuto nel 1937 in America, fa un riferimento alle terribili inondazioni verificatesi a Louisville e nelle zone circostanti all'inizio di quell'anno e aggiunge: "Le vibrazioni dei pensieri e dei sentimenti di migliaia d'uomini uccisi nei combattimenti in Spagna hanno causato i cambiamenti atmosferici che sono responsabili di queste alluvioni e di altre catastrofi in tutto il mondo. La guerra genera vibrazioni di male che alterano l'equilibrio e l'armonia di tutta la natura, causando catastrofi "naturali"." ("L'eterna ricerca dell'uomo" - Astrolabio, pag. 41). A partire dal luglio 1936, infatti, era iniziata la sanguinosa guerra civile di Spagna che avrebbe condotto alla vittoria di Franco tre anni dopo e Yogananda, quindi, la cita nel suo discorso.

La cosa mi ha fatto riflettere: i disastrosi cambiamenti climatici sono generati - egli afferma - dalla sofferenza dell'uomo, dai suoi pensieri negativi di odio, di paura, in breve dalla violenza e dalla guerra! Oggi, in relazione ad analoghi eventi naturali, cerchiamo la spiegazione nel comportamento scorretto e anti-naturale dell'uomo, cioè attribuendo all'uso di sostanze chimiche, alle fonti energetiche e altro la colpa del surriscaldamento, dei disastri, eccetera. Va detto che qualche scienziato, come spesso avviene, tende a sottovalutare ritenendo che in definitiva non ci sia prova dell'eccezionalità di certi eventi, che necessiterebbero ulteriori studi, statistiche e via dicendo, e che i mutamenti del clima si sono sempre verificati in risposta a cause interne allo stesso ecosistema, eccetera. In sostanza, comunque, la visione dei mutamenti climatici e delle possibili cause rimane sul piano meccanicistico, fisico, chimico, biologico. Di solito non se ne da una spiegazione… psichica!

Eppure, già da qualche tempo, in occidente è nata la “psicosomatica” e c’è una certa accettazione da parte della scienza dell’influenza che la psiche può avere sul corpo, sulla salute e sulla malattia. Se, per analogia, pensassimo al pianeta Terra come ad un unico grande organismo, forse potremmo davvero ipotizzare che la psiche collettiva degli esseri viventi che lo abitano possa avere influenza sulle caratteristiche fisiche e climatiche dell’ecosistema! Ad esempio le guerre in Afghanistan e in Iraq, come i conflitti Israelopalestinesi e altri, porebbero aver causato i devastanti Tsunami nel sud-est asiatico e l'Uragano Katrina negli Stati Uniti! Se ciò fosse vero, ed è per lo meno plausibile, ognuno di noi, ogni singolo individuo, potrebbe contribuire alla salute generale e all’armonia sul pianeta non soltanto attraverso comportamenti ecologici e controllando gli sprechi e i consumi, ma anche cercando di lavorare sul proprio benessere interiore, sulla pacificazione del cuore e della mente, sulla compassione, sul rispetto e sull’amore. Tutto ciò somiglia molto a ciò che sempre hanno detto e dicono le religioni. Con una differenza: non bisogna essere “buoni” per compiacere un qualche Dio, per rispettare le Sue regole morali o per andare in Paradiso in un lontano futuro, bensì per stare meglio tutti qui ed ora, per contribuire attivamente a realizzare un mondo migliore. Forse è la stessa cosa, ma personalmente trovo che espressa in questa forma l’etica risulti più libertaria e più responsabilmente consapevole…

mercoledì 23 maggio 2007

La sfida della complessità.


Soltanto qualche notazione su un argomento che andrebbe maggiormente sviluppato in seguito: parlo della complessità del nostro mondo. In breve, come riflettevo negli ultimi giorni, credo che la sfida di questa nostra epoca non sia tanto quella di ritrovare dei valori perduti in una realtà in costante cambiamento. La comunicazione, la sovrabbondanza di informazioni che la tecnologia ci mette a disposizione, la stragrande possibilità di scambio e di contatto con tutto il resto del mondo... ebbene credo che proprio questo panorama così vasto e il bombardamento continuo di stimoli visivi, auiditivi e conoscitivi costituisca la difficoltà maggiore per l'uomo di oggi, cioè la difficoltà di metabolizzare tutto questo. E' probabile che le malattie della nostra epoca - ogni epoca storica ha avuto le sue specifiche - siano e saranno sempre più quelle neurologiche, quelle legate alle forme di demenza, ai disturbi depressivi o, più semplicemente, al senso di disagio, vuoto e panico così diffusi. Alcuni, di fronte a questa enorme e dilagante sovrabbondanza di stimoli in costante mutamento - lo si può vedere nelle cronache - "esplodono" con comportamenti imprevedibili e violenti, insospettati. Altri tentano di rinchiudersi nella confortevole struttura di valori tradizionali che, però, non reggono e non comprendono più la realtà delle cose. Altri ancora fuggono verso settarismi fanatici. Quello che manca e sempre più tende a svanire sono le certezze, i punti saldi fino a poco tempo fa rappresentati dalle identificazioni familiari, sociali, politiche o religiose. Secondo me la sfida non sta nel recuperare quelle identificazioni, che hanno fatto il loro tempo e sono servite di sostegno in altre epoche. Anzi: sarebbero una forma di regressione. Il punto, oggi, è metabolizzare la diversità, ritrovando un forte senso di identità e, allo stesso tempo, una grande apertura, la capacità di accogliere il molteplice, il diverso, l'ignoto, con rispetto e interesse, con la disposizione ad imparare. E' un salto di livello quello che ci attende e, si sa, ogni trasformazione comporta le sue difficoltà e un iniziale senso di smarrimento. Probabilmente, però, l'ampiezza della consapevolezza che ci attende sarà una giusta ricompensa per questa attuale umanità così smarrita e apparentemente senza un obiettivo, senza una visione. La visione c'è, sta emergendo, ed è quella di una globalizzazione virtuosa: dell'unità nella diversità, della stabilità nel cambiamento...

giovedì 10 maggio 2007

Scomunica.


Pare che il Papa, in occasione del suo viaggio in Brasile, abbia dichiarato che i politici favorevoli ad una legge che consenta l'aborto possono essere soggetti a scomunica da parte della Chiesa. Per la precisione sono stati alcuni vescovi messicani a indicare per primi questo tipo di sanzione, e il Papa ha soltanto osservato che la cosa non è arbitraria, bensì è in sintonia con la dottrina cattolica. La sala stampa del Vaticano, successivamente, ha voluto tranquillizzare: il Pontefice non voleva scomunicare nessuno. Però, in effetti, sembra che secondo la Chiesa i politici di cui sopra farebbero meglio ad astenersi dal sacramento della comunione: assumere il "corpo di Cristo" è incompatibile con l'uccisione di un feto. Etimologicamente, comunque, credo che "scomunica" abbia lo stesso significato dell'astenersi dalla comunione. Ora, personalmente, comprendo come le sempre più frequenti precisazioni dottrinarie del Papa e del Vaticano possano destare in qualcuno delle perplessità (o peggio), soprattutto se si è di diverso avviso. Si dice che stia emergendo il lato conservatore della Chiesa, e che questo contrasti con l'anima laica e libertaria della cultura contemporanea. Francamente mi sembra che il fatto che la Chiesa tenda a ribadire quelli che sono punti essenziali della fede cattolica non sia sbagliato. Non credo che concetti come quello anzidetto sul divieto assoluto di abortire, oppure sull'uso dei contraccettivi, sull'omosessualità, sulla famiglia, sul matrimonio e via dicendo, siano espressione dell'atteggiamento conservatore del Vaticano: mi sembra, invece, che siano veramente punti essenziali del cattolicesimo, in mancanza dei quali questa religione sarebbe mancante di alcuni capisaldi, e lo stravolgimento sarebbe troppo grande. Di fronte, quindi, ad una Chiesa che - per motivi di opportunità - tollera certi comportamenti o idee divergenti dalla sua linea senza pronunciarsi troppo in merito, ed una che invece si espone al rischio di essere impopolare per riaffermare la propria dottrina, io preferisco la seconda! Secondo la mia opinione - e ribadisco che esprimo solo un mio discutibilissomo ragionamento personale - negli ultimi decenni il tema religioso si è superficializzato troppo, e molti di quelli che si dichiarano cattolici conoscono veramente poco di questa religione. Inoltre, se interrogati direttamente, le loro opinioni contrastano o sono in disaccordo con punti fondamentali della dottrina: l'infallibilità papale, la confessione, il fatto che il Cristo non sia soltanto un grande Maestro spirituale ma il Figlio di Dio, eccetera. Poi c'è il fenomeno di coloro che aderiscono a tecniche o impostazioni spirituali "New Age", oppure a discipline che provengono dall'Oriente, e iniziano a credere, pur rimanendo formalmente cattolici, a cose che non rientrano a nessun titolo nella dottrina della Chiesa: per esempio il concetto del karma, la fede nella reincarnazione e altro. Il Vaticano non può essere "liberale" su queste tematiche, perché il cattolicesimo - se integrasse certe visioni - semplicemente non sarebbe più tale, diventerebbe un'altra religione! Per tornare, dunque, al ragionamento iniziale, dico che secondo me il Papa fa bene a precisare il senso della dottrina e i suoi capisaldi. In questo modo chi rimane cattolico o sceglie di esserlo può sapere a che cosa aderisce, e può decidere con chiarezza se condivide o no certe idee. Se non le condivide, se non è in comunione con esse, può scegliere una impostazione religiosa diversa, o nessuna, senza continuare a sentirsi parte di una religione che, in realtà, non lo rappresenta. Ha la possibilità di decidere in piena consapevolezza, utilizzando i poteri della discriminazione e della scelta responsabile che competono ad ogni individuo adulto: elementi fondamentali che è bene imparare ad utilizzare sempre più spesso e con sempre maggiore indipendenza e maturità.

martedì 24 aprile 2007

Occultamento.


Un tempo, quando si voleva tenere segreto un evento, un'informazione, una conoscenza, si ricorreva al nascondimento, al silenzio, si taceva. In alcuni casi si poteva perfino ricorrere alla violenza per far sparire certe cose, magari uccidendo o esiliando qualcuno, oppure minacciandolo: quello che non si doveva sapere andava tutti i costi occultato. Esistevano società segrete, ordini iniziatici dagli scopi talvolta mistici, ma anche politici, economici, criminali, di potere. Tutto segreto. Solo talvolta trapelava un sospetto, un'informazione, magari quando veniva il tempo che si sapesse... Bene, ora ho la strana impressione che le tecniche di occultamento siano radicalmente mutate. Può darsi che esistano ancora oggi governi, associazioni, società che vogliono consevare il segreto su certi argomenti. Però mi sembra che più che il silenzio ora si utilizzi il rumore . Mi spiego facendo un esempio: mettiamo che un'astronave aliena atterri e ne scenda una delegazione di extraterrestri. E' un evento epocale, eclatante. Mettiamo che si decida di non far sapere, di non diffondere la notizia. Può darsi che, però, nell'epoca della comunicazione, qualcosa passi, che l'evento venga comunque reso pubblico. Allora che cosa succede? Basta diffondere dieci, cento, mille informazioni analoghe. Si parli soltanto di questo. La televisione descriva tutti i casi analoghi di cui si ha notizia negli ultimi cinquant'anni. Si diffondano informazioni su episodi in cui sono state scoperte chiare mistificazioni. Altri sui quali ancora non c'è un'opinione precisa. Scienziati che non ci credono. Altri studiosi che ritengono che gli UFO possano esitere. Si trasmettano in televisione e si pubblichino sui giornali centinaia di foto di avvistamenti. Si intervisti chi dice di averli incontrati. Si intervisti qualche religioso che, magari, smentisca o minimizzi. Anche qualche psicologo, che ne dia un'interpretazione analitica. Alla fine... la realizzazione di un film di successo, proprio su quell'evento che si dice sia stato nascosto dai governi. Ecco, questa è la mia idea: oggi per occultare qualcosa, per nasconderla, basta confonderla in una massa di informazioni, di notizie, di opinioni. Nessuno riuscirà più a capire dov'è la verità, a "distinguere il grano dal loglio", tutto diverrà superficiale e irreale. L'informazione vera c'è, passa, viene rivelata, ma è privata di valore, non è più discriminabile e riconoscibile, è tutta scarabocchiata. Nessuno se ne interessa più. Ho fatto l'esempio della nave aliena, ma era soltanto uno spunto. Potremmo riconoscere in questo esempio la politica, la cultura, la scienza, la religione. Dov'è la verità, il valore? Dov'è l'individuo? Rimane soltanto la nostra identità di consumatori, la nostra quantificazione numerica. C'è un antidoto? Forse: ci tocca imparare a ragionare con la nostra testa, a discriminare, scegliere, valutare da soli. Qualunque cosa questo significhi...

giovedì 19 aprile 2007

Compleanno.


Oggi mi sento di scrivere di un evento molto personale: infatti è il giorno del mio compleanno! Sì, compio 49 anni. Sette settenari: significherà qualcosa? Certamente andando avanti con l'età gli scenari cambiano, i punti di vista sono differenti, come in un viaggio. Tuttavia non è semplice dire in che cosa esattamente si è mutati. Forse in questo: si è più consapevoli dei problemi fondamentali dell'esistenza, della malattia, della vecchiaia, della morte. Per lo meno ci si sente più responsabili. Sarà per tutti uguale, o sto esprimendo una opinione soprattutto soggettiva? Probabilmente le esperienze fatte hanno una grande incidenza su qualsiasi valutazione della propria vita, come anche gli obiettivi perseguiti e le prospettive attuali. In ogni caso penso si possa dire che la nascita - ricordata e "ritualizzata" nella celebrazione del compleanno - ha il significato profondo della separazione dalla madre, cioè da quell'unità indifferenziata che la condizione uterina simbolicamente rappresenta. Tale divisione dal corpo materno, di fatto, è un primo passo sulla via dell'individualità e dell'individuazione. Le fasi successive dell'infanzia, dell'adolescenza e dell'età adulta rappresentano l'evoluzione e l'affermazione dell'io come entità separata e autonoma. Questo significa incontrare l'angoscia, la solitudine, la difficoltà, il rifiuto della separazione, la paura dell'abbandono, ma anche l'autonomia, la capacità decisionale, la responsabilità, la condivisione, insomma quella libertà relativa che ogni individuo ha il compito di sviluppare per diventare veramente sé stesso. Poi credo che, gradualmente, con il progredire dell'età, avvenga un movimento quasi contrario: l'io perde consistenza, tende a ritornare verso una unità più ampia che trascende la singola persona. C'è, comunque, una differenza sostanziale con l'unità intrauterina pre-natale: l'unione che si va ora a creare ha in sé anche la differenziazione, la particolarità, la molteplicità. L'individuo non perde l'acquisita auto-consapevolezza, ma riesce contemporaneamente a sentire il legame profondo con il diverso da sé, con il non-io, con l'altro, fino a ricostruire nella sua coscienza la percezione di un'unione con il tutto, con l'esistenza. Un tutto multiforme, composito come la vita stessa, non monolitico, indifferenziato e inconsapevole. Questa fase è, però, molto spesso inattuata, perché in sé essa rappresenta un'acquisizione di saggezza e un salto di qualità evolutivo. Spesso, anche nella vecchiaia, ci si ferma ad uno degli stadi precedenti, quelli nei quali l'individuo deve ancora affermarsi e riconoscersi come tale, ed è ancora preso dall'elaborazione della iniziale separazione, dovendo ancora sedimentare una effettiva autonomia interiore e costruire l'indipendenza della coscienza individuale dai condizionamenti sociali, culturali e ambientali (possibili altre forme simboliche della madre) accettandone la differenziazione. Tuttavia sembra che nella maturità, gradualmente, il compito coscienziale debba proprio essere quello di trovare questa sorta di dimensione totalizzante e unitaria in senso quasi mistico o religioso (non confessionale, ma reale), la sola che possa dare senso a tutto il percorso e che possa compensare la divisione iniziale con la realizzazione finale di una significativa unità della vita.

venerdì 6 aprile 2007

Videogame buddista.




Marco mi ha gentilmente segnalato il seguente link:

http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/scienza_e_tecnologia/videogiochi/videogame-buddista/videogame-buddista.html

Vi si fa cenno ad un videogioco "educativo" in controtendenza, nel senso che in esso vengono suggeriti i principi della non-violenza invece che il solito "ammazza-i-cattivi". Certo, è indubbiamente utile che una volta tanto si faccia attenzione ai messaggi impliciti che si suggeriscono ai bambini, e ne sono molto contento. Però, volendo spaccare in quattro il capello, noto che qui c'è un altro messaggio subliminale (oltre a quello esplicito che si può "vincere" solo seguendo i precetti morali): è quello che il monaco anziano si trova in possesso della vera saggezza, mentre i bambini sono inesperti, immaturi e istintivi. Insomma la conoscenza e la saggezza sarebbero retaggio dell'anzianità, mentre l'infanzia o l'adolescenza corrisponderebbero all'immaturità. Talvolta può anche essere così, ma non è un cliché: proprio dal buddismo ricavo l'idea che l'età anagrafica non necessariamente corrisponde allo sviluppo della coscienza, e l'esperienza non sempre corrisponde ad una maggiore consapevolezza - invece può essere un fattore condizionante - e non è detto che un asceta o un monaco siano superiori spiritualmente ad un laico o ad un bambino. Il nucleo del messaggio del Buddha fonda sull'autoconoscenza, sul mettersi in discussione, non sulla dipendenza dall'autorità dei maestri o dei testi sacri (che pure possono servire d'ispirazione e indicazione)...

venerdì 30 marzo 2007

Amore.


In questi giorni ho navigato un poco fra i blog disponibili in rete e ho notato come ve ne siano molti che hanno come argomento principale l’amore: la delusione d’amore, la speranza d’amore, l’incontro, la poesia, eccetera. Molti di questi sono “al femminile”, forse perché le donne sono di solito più aperte circa i propri sentimenti e li comunicano con maggiore facilità. In proposito mi è venuto in mente uno schemino derivato, penso, dall’analisi junghiana – con il quale sono entrato in contatto quando facevo il biodrammatista (Biodramma: tecnica elaborata da L. Ostuni che fonde teatro ed espressione simbolica in una ricerca autoconoscitiva – c’è un link in questo mio sito): tale schemino interpretativo suddivide l’esperienza d’amore in tre stadi che io trovo interessanti ed illuminanti, e vorrei proporlo agli amici blogghisti. Il primo stadio dell’esperienza d’amore è quello detto dell’Innamoramento: in sostanza si tratta dell’incontro e del momento in cui viene proiettata sull’altro, sul partner, la figura ideale che ognuno di noi ha dentro, l’idea immaginativa e fantastica, e di quella ci si innamora. In questa fase, oltre a percepire l’ideale nell’altro, anche l’immagine che abbiamo di noi stessi viene vivificata e assume i caratteri positivi della fiaba, del mito del sogno. In breve, siamo anche innamorati di noi o di ciò che sentiamo, che proviamo, del modo in cui vediamo noi stessi e il partner. Il secondo stadio, che inevitabilmente si manifesta un pò di tempo dopo il primo, è detto della Ferita: corrisponde alla scoperta del limite. L’altro o l’altra non incarnano interamente il nostro sogno, la figura idealizzata, sono in altre parole umani, con tutte le limitazioni dell’umano. Non solo: in questa fase scopriamo anche i nostri limiti: la nostra inadeguatezza, rabbia, sofferenza e quant’altro. Questo stadio dell’esperienza d’amore è anche quello che, normalmente, la conclude. Ci si lascia, oppure si continua a stare insieme per motivi di opportunità, responsabilità o altro. Però il sentimento è naufragato in delusione, è stato annientato dalla normalità, dalla quotidianità. Si cerca un altro innamoramento, in modo più o meno dichiarato. Esiste un terzo stadio, molto meno frequentato ed esperito degli altri due: quello dell’Amore. Sì, come se fino a questo momento il sentimento “Amore” non fosse veramente entrato nel rapporto! L’Amore di cui qui si parla è quello che riesce a fondere e a trascendere i primi due stadi: il trasporto per l’altro, la presenza vivificante dell’ideale, e contemporaneamente la conoscenza del limite – sia quello del partner che il proprio – e la sua accettazione. L’Amore, a questo livello, è comprensione, condivisione totale, vera comunicazione, è crescere insieme. A questo punto, e soltanto ora, si è veramente quello che poeticamente talvolta si intuisce: “una cosa sola”, un solo essere. Un’unione che non fonda su un fraintendimento, su una visione parziale e neppure su una qualche forma di dipendenza reciproca: bensì sull’autonomia e sulla maturità individuale dei partner, sui loro pregi ma anche sui loro difetti, e sul loro perfetto, libero, paritario e, oserei dire, rivoluzionario abbraccio.

venerdì 16 marzo 2007

Buddismo in carcere.


Segnalo una notizia de "La Stampa" che può essere letta al seguente link: >http://www.lastampa.it/search/albicerca/ng_articolo.asp?IDarticolo=1542359& Si tratta di un fenomeno che si sta producendo nel carcere delle "Vallette" a Torino: i detenuti praticano il buddismo e ne ricevono benefici. Oltre al fatto che ne sono molto contento, non voglio commentare ulteriormente in quanto sono "parte in causa": infatti io pratico proprio lo stesso tipo di buddismo. Vorrei solo fare una notazione curiosa: spesso in questa corrente o scuola religiosa si parla di Liberazione. Liberazione dal dolore esistenziale, dall'oscurità fondamentale (cioè l'ignoranza ontologica), oppure dal Samsara - la cosiddetta "ruota delle nascite e delle morti". Ebbene, quale luogo rappresentativo, anche simbolicamente, potrebbe essere migliore per praticare (o iniziare a praticare) il buddismo del... carcere???

lunedì 12 marzo 2007

Convegno su Mircea Eliade.


Cari 'amici di blog', negli ultimi giorni non ho scritto nulla perché sono stato impegnato nella stesura di una relazione per il convegno "Mircea Eliade - 1907/2007 Centenario della nascita - Mito e attualità" al quale sono stato gentilmente invitato. La mia relazione avrà come titolo "Le nuove forme della ricerca spirituale in occidente: dalle "Tecniche dello Yoga" di Mircea Eliade alla vita quotidiana". Per chi è interessato al convegno, aperto a tutti, informo che oggi alle ore 18.00 ci sarà un benvenuto da parte degli organizzatori presso la Libreria Melbookstore, Via Nazionale, 254/255- Roma con lettura di brani dai lavori di Mircea Eliade.
Domani 13 marzo avrà luogo il convegno vero e proprio a partire dalle ore 9.30 presso la Sala Conferenze dell'I.T.C.G. "Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi" - Via Palestro,38 - Roma, e si chiuderà con un dibattito alle ore 16.00. Durante il corso di quest'anno, comunque, vi saranno altre occasioni per riflettere sulla figura del grande storico e fenomenologo delle religioni rumeno. Ciao.

venerdì 23 febbraio 2007

Flop di governo e psicanalisi.


Chi ha già letto un pò questi miei appunti sul blog, ha visto che talvolta mi piace occuparmi di analisi psicologica, di psicanalisi-fai-da-te, a proposito della politica. Questo perché mi sembra che i meccanismi edipici possano essere adatti per spiegare alcuni avvenimenti e configurazioni in questo ambito. Per esempio, al nostro stadio di evoluzione e nella nostra attuale situazione italiana di sviluppo collettivo della consapevolezza, secondo me incide ancora molto la figura paterna: intendo dire che i leader delle opposte fazioni devono anche fare i conti con la proiezione del simbolo del padre che viene fatta su di loro. Per ciò che riguarda la "destra", il "padre" - cioè il principale capo della coalizione - vede il suo ruolo abbastanza sostenuto e facilitato da questo tipo di proiezione psicologica: infatti i "figli" nell'ambito del centro-destra, proprio per il tipo di ideologia e di concezione del mondo che abbracciano, tendono ad accettare la figura paterna e a ricercare la sua approvazione identificandosi in essa, ma non necessariamente cercando di soppiantarla apertamente. Il conflitto edipico figlio-padre è mascherato, perché sembra più importante accattivarsi la benevolenza del genitore e l'appartenenza al suo clan, alla tribù archetipica. In altre parole il potere non è un problema, anzi: un capo forte cui associarsi rappresenta una sicurezza e sostiene i meccanismi di identificazione e di rafforzamento dell’io attraverso l’appartenenza. Il nemico è sempre all’esterno del clan. Quando vi fossero delle dissidenze nell’ambito della “famiglia”, esse raramente potrebbero degenerare in un vero e proprio scontro con il padre, a meno che non si abbia davvero la forza per "uccidere" metaforicamente e sostituire il leader. Altrimenti prevarrebbe comunque una configurazione dei rapporti tipo “figliuol prodigo”, cioè riconoscimento dell'errore e conseguente sottomissione. Nell'ambito della sinistra la situazione è diversa e più problematica: normalmente, infatti, le ideologie correlate si basano proprio sull'emersione della conflittualità con il potere istituito - quindi con la figura paterna - per raggiungere una maggiore autonomia dell'io rispetto ad essa. Il "padre" del centro-sinistra non può fondare il suo potere sull'autorità, come avviene nell'altro caso, ma sulla valorizzazione della particolarità e della personalità dei "figli" simbolici. Il suo è più un ruolo di mediazione e di guida, un'autorità che deve avere in sé anche valori femminili e materni. Naturalmente si tratta di un compito più difficile, complesso, di una grande sfida a raggiungere un livello di evoluzione e di consapevolezza che superi il "clan", l'identificazione collettiva, favorendo lo sviluppo di ogni singola individualità. Poiché, inoltre, nell'ambito della "sinistra" è così significativo e importante l'edipo contro il padre, cioè il desiderio di avere la meglio su di lui, di soppiantarlo, la situazione può essere veramente ingovernabile: qualora il conflitto edipico non fosse adeguatamente compreso e portato alla consapevolezza, si correrebbe sempre il rischio di una sua emersione incontrollata e distruttiva. Voglio dire che la sinistra ha assunto psicologicamente il compito di superare la dipendenza dall'archetipo paterno, e tale dipendenza può essere dichiarata (come avviene nella "destra") oppure manifestarsi più subdolamente come una opposizione al padre: cioè attraverso un'apparente liberazione dalla figura genitoriale si esprime una sostanziale dipendenza attraverso l'opposizione e l'aggressività: attaccamento e odio si equivalgono, sono comunque legami non risolti, non maturati. La "sinistra", insomma, dovrebbe poter superare l'edipo paterno, non esserne preda inconsapevole. Se non ci riesce, come invece sarebbe nelle sue migliori intenzioni, rischia di esserne sconfitta. Naturalmente questa mia analisi si riferisce proprio all'attuale situazione della politica italiana e vuole essere una interpretazione della crisi del governo di centro-sinistra...

mercoledì 14 febbraio 2007

San Valentino e i Lupercali.


Come avvenuto per praticamente tutte le feste pagane, la Chiesa Cattolica assimilò anche i Lupercali, ricorrenza romana che coincideva con la metà del mese di febbraio. Si festeggiava in prossimità della mitica grotta della lupa di Roma, sotto il Palatino, là dov’erano stati nutriti i gemelli Romolo e Remo. Il senso della festa era molteplice, ma comunque collegato con il preannuncio della primavera, con la rinnovata e auspicata fertilità della terra, con il nutrimento che essa avrebbe offerto nel prosieguo dell’anno agricolo. Per questo motivo erano parte della celebrazione riti per propiziare la fertilità della donne e delle coppie: da qui anche i riferimenti alla sessualità e all’amore in essa presenti. Il problema nel V secolo era rimpiazzare una scomoda festività pagana (che oltretuttto aveva anche elementi orgiastici) con una celebrazione cristiana. Fu scelto a emblema il santo vescovo di Interamna Nahartium (l’attuale Terni) Valentino, che nel 273 d.C. aveva subito il martirio sotto Aureliano. Molto opportunamente circolavano su questo personaggio aneddoti, fatti e leggende che lo legavano all’amore: egli, ad esempio, rifiutò di sospendere il rito di benedizione per gli sposi anche di fronte alla richiesta dell’Imperatore Claudio II il Gotico; riconciliò due giovani con l’aiuto di una rosa miracolosa, celebrò il matrimonio fra una cristiana e un legionario pagano opportunamente convertito, e prima di morire ridonò la vista alla figlia cieca del suo carceriere, poi salutandola come un innamorato con un messaggio che si concludeva con le parole “dal vostro Valentino”... Il rito per il dio Lupercus veniva dunque sostituito da concetti suggestivi: un coraggioso martirio per la fede, la conversione alla nuova religione e l’abbandono del paganesimo, la sacralità del rito cristiano che benedice la coppia regolarmente formata da un uomo e da una donna, la forza risanatrice dell’amore “puro” e “platonico”. Ultima notazione: Lupercus, il dio venerato ed evocato nei Lupercali, sembra fosse la trasposizione latina del dio greco Pan. Lo psicologo James Hillman ha dedicato molte delle sue ricerche alla riflessione su questa divinità, facendo delle differenziazioni con la figura mitica del Cristo e considerandola emblema dell'eros e della sessualità non-procreativa o, comunque, non finalizzata alla riproduzione. Poiché, però, nella versione di Lupercus egli rappresentava anche la fertilità, potremmo dire che nel simbolismo di Pan, di Lupercus e della festa antica abbiamo l'allusione ad un amore non istituzionalizzato, spontaneo. Di.Co., vogliamo riparlare dei Pa.C.S...?

mercoledì 31 gennaio 2007

Partenza.


Un saluto caro a tutti gli amici "bloggers": faccio una pausa e sarò di nuovo in rete fra una decina di giorni. Io e la mia compagna siamo nuovamente in partenza per le Canarie, per l'isola di Tenerife: così anticiperemo la primavera recandoci nella terra dove essa è sempre presente. Le sette Canarie, le Isole Fortunate, il mitico giardino delle Esperidi oltre le Colonne d'Ercole, l'Atlantide, l'antica e simbolica meta di conoscenza e esperienza di ciò che sta oltre il conosciuto... Così è anche per noi: oltre alla vacanza come "vuoto" (vacuum), distensione e riposo, solitamente proviamo laggiù una sottile senzazione, un non so che di antico, magico e misterioso. Una vacanza, un viaggio, in fondo significano anche e soprattutto rigenerazione, rinnovamento, terapia - ciò che può essere trovato e realizzato soltanto in uno "spazio sacro", interiore o esteriore che sia. Consiglio a tutti una vacanza di questo tipo, in un luogo che va attentamente cercato con la magia del cuore e dell'intuizione, uno spazio che può essere diverso per ognuno, adatto a noi, dove qualcosa risuona dentro. Quel luogo c'è, e se non l'abbiamo ancora trovato, secondo me, è opportuno cercarlo, aprendosi come prima cosa alla possibilità della sua esistenza. Lo si riconosce facilmente: là ci sentiamo bene .

martedì 30 gennaio 2007

Pacs Vobiscum.


Ci risiamo. Di nuovo lo spaventoso pericolo dei Pacs e gli anatemi del clero contro la disgregazione della famiglia tradizionale. Mi chiedo come mai in Spagna – a quanto ne so - non ci sia stata tutta questa lotta, questo clamore, queste decisioni sofferte, queste alzate di scudi. Mi chiedo se la Spagna non rappresenti l’abisso della perdizione e dell’inferno, se si stia davvero disgregando socialmente e moralmente sotto i nostri occhi. Per non parlare, poi, di altri paesi europei che, a questo punto, hanno nell’Italia – anzi, in una parte di essa, la più “illuminata” e liberale - l’alto esempio dell’integrità morale, della coscienza assoluta, della perfetta comprensione dei dettami divini. Scusate lo “sfogo”, però certe volte mi sembra che stiamo facendo una sorta di gioco inconsapevole e perciò tragico, una commedia di cui non percepiamo più il ridicolo, l’assurdità o la possibile ironia – convinti di essere “seri” e ragionevoli. Mi spiego meglio: guardiamo per un istante con gli occhi della mente all’infinita o indefinita molteplicità dei mondi, degli universi, delle galassie, dei cosmi, a questa potente e meravigliosa e straordinaria esplosione di vita. Riflettiamo sulle molteplici forme che essa assume, facendo per esempio sopravvivere dei microrganismi in condizioni biologiche incredibili, anche in acidi potentissimi. Stelle e batteri, supernove e buchi neri e quant’altro di ancora inconoscibile, cui la nostra scienza non può tutt’ora che avvicinarsi da lontano oppure non avvicinarsi affatto - perché al confronto è soltanto il balbettio di un infante. Pensiamo, oltre che all’incanto e allo stupore che ci evoca la vita universale, alla profondità della morte, alla sua incomprensibilità, al mistero incommensurabile che in essa percepiamo… Ebbene di fronte a tutto ciò… che ci sorprende, che ci apre il cuore e la mente, che ci fa meditare, che ci terrorizza con il suo “tremendum”, con il suo fascino… di fronte a tutto ciò… ecco la Famiglia, composta così e cosà, Uomo e Donna, la riproduzione come fine, voluta così e cosà da Dio stesso che ce lo ha fatto sapere attraverso le Scritture, i Profeti, i Prelati vestiti con tonache colorate, con tiare e paramenti maestosi e impreziositi da anelli e monili. I Prelati sanno quali Scritture sono da considerarsi Testi Sacri e quali no, conoscono con certezza ciò che Dio pensa, vuole e comanda, quali sono la Sua morale e la Sua etica, e ci istruiscono sulla Sua Idea della Famiglia – la Sua, beninteso, non la loro! Perché loro sono i Portavoce del Padreterno. In Sua vece comminano punizioni, sanzionano, giudicano, moralizzano, entrano nella vita privata delle persone, la indirizzano secondo il Bene e il Giusto. Forse sono troppo polemico: posso offendere coloro che, in buona fede, vogliono comportarsi bene e desiderano conoscere una linea di condotta per non contravvenire alle leggi divine. Me ne dispiace e mi scuso, però non posso fare a meno di pensare che dobbiamo smetterla di proiettare sull’Assoluto, sulla Legge Universale, sulla Vita, sulla Natura, su Dio, le nostre opinioni limitate e i nostri umani pregiudizi. Penso che dovremmo lasciare un pò di spazio affinché la componente divina presente in noi stessi e in tutto parli da sé al nostro cuore, senza interpreti, senza paure. Questo non significa che dobbiamo comportarci secondo l’arbitrio del momento, che dobbiamo agire male in preda al diavolo – come sbandierano i presunti moralizzatori. Dico solo che, secondo me, una persona eticamente e moralmente corretta non dice agli altri cosa devono fare, ma lo fa in prima persona, magari in silenzio. Credo inoltre che non abbia la pretesa di conoscere il Volere di Dio o la Legge Universa, ma la vada scoprendo ogni giorno e ogni momento nella propria vita. Penso che una tale scoperta sia come un’avventura sempre nuova, che in essa via sia stupore, meraviglia, ammirazione e rispetto per la molteplicità infinita di modi e di forme attraverso le quali il divino si esprime, senza limitarsi ad una sola modalità approvata e sigillata da sempre e per sempre dalle Alte Gerarchie Ecclesiali. Come si può far entrare il mare in un bicchier d’acqua? Come si può costringere la Vita in uno schemino didascalico?

sabato 27 gennaio 2007

A sua immagine e somiglianza.


Uno dei curiosi ribaltamenti concettuali della Bibbia - oltre a quello di cui già ho scritto dell'uomo che genera la donna invece che l'inverso - è contenuto nella famosa frase di Genesi (I, 26): "E Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza..."" Credo che una interpretazione troppo letterale di questa dichiarazione possa essere veramente un pò assurda e soggetta ad ironia. Per esempio: essa significa forse che Dio ha testa, braccia e gambe, organi interni, organi escretori e di riproduzione, uno scheletro, eccetera? Di che colore sono i suoi capelli, gli occhi? Ha la barba? Veramente il suo aspetto è quello di un autorevole e anziano patriarca di razza caucasica? C'è stato un momento in cui era giovane? I negri, le donne, i cinesi non sono a immagine di Dio? Per queste evidenti limitazioni del senso letterale della frase, e per non cadere nel ridicolo, oggi si preferisce lasciarla nel vago e interpretarla come un riferimento allo spirito, cioè ad una qualche essenza spirituale che è nell'uomo e che si relaziona con la somma essenza spirituale che è Dio. Tuttavia rimangono dei dubbi: per esempio, gli animali che posto hanno? Essi non sono ad immagine di Dio, quindi sono presumibilmente dei puri aggregati materiali - non hanno neanche una particella di spirito divino. Però, se così fosse, esisterebbero delle entità, delle creature, che non hanno Dio in sé, quindi a priori lontane da Lui: non voglio dilungarmi, ma ciò comporterebbe grossi problemi logici e filosofici visto che, se Dio è Assoluto, allora bisognerebbe ammettere che tutta la creazione, la manifestazione cosmica, anche i soli, i pianeti, lo spazio, i vegetali, i fiumi, la materia, sono a Sua immagine e somiglianza, non essendo logicamente possibile che esista una qualsiasi cosa priva della presenza di Dio, e della "somiglianza" con Dio - altrimenti esisterebbe Dio e questo "qualcosa" che non è a sua immagine, quindi Dio non sarebbe più Assoluto. Riflettendo bene, a me sembra che sia vero l'inverso della famosa frase: è l'uomo che crea Dio a sua immagine e somiglianza, a seconda della sua evoluzione, della sua cultura, delle sue limitazioni. Anche su un insieme indistinto come possono esserlo le nuvole, dalla forma vaga e cangiante, l'uomo riesce a vedere qualcosa che a lui risulta conosciuto e familiare. Tanto più sul divino: essendo qualcosa di ulteriore rispetto alla normale esperienza, qualcosa che trascende la mente ordinaria, è molto facile che su di esso l'uomo si faccia le idee più strampalate, secondo le limitazioni della sua logica soggetta ad evoluzione. Così il nomade del deserto vede Dio come un capo-tribù, spesso altrettanto giudicante e feroce. Poi queste idee diventano tradizionali, vengono ripetute e assimilate per generazioni, e così diventa difficilissimo distaccarsi da esse anche quando le condizioni storiche e culturali sono mutate e non ci sarebbe più bisogno di vecchie rappresentazioni. Sicuramente oggi l'uomo sta cercando di farsi un'altra idea di Dio, che sia più a sua immagine e somiglianza, che sia in linea con i suoi attuali bisogni. Il piano divino, la dimensione spirituale e religiosa, sono elementi essenziali che fanno parte dell'esistenza, dell'integrità della visione del mondo, del cuore. Tuttavia, credo, periodicamente hanno bisogno di una riformulazione e di un approfondimento.

giovedì 18 gennaio 2007

Contagio psichico.


C'è un concetto molto interessante che ho appreso fra una fase e l'altra delle mie ricerche, diciamo, esoteriche o, meglio, non convenzionali. Mi riferisco all'idea di "contagio psichico". Questo concetto si adatta molto bene ai nostri tempi, così difficili, violenti e, per certi versi, oscuri. Faccio una premessa: fino al XIX secolo, più o meno fino alla seconda metà dell'Ottocento, non si credeva neppure al contagio fisico. Gli strumenti chirurgici, ad esempio, non venivano sterilizzati e le operazioni venivano fatte con le mani nude. Non c'era nozione di batteri e microrganismi. Le prime scoperte ed elaborazioni in merito ad opera di Spallanzani, Pasteur, Koch e altri destarono inizialmente incredulità, perplessità e sospetto. Analogamente, oggi, potrebbe risultare strano accettare l’idea che anche psichicamente si possano raccogliere dall’ambiente, dagli altri, delle influenze negative, ma a detta dei maestri e degli studiosi dell’aspetto sottile dell’esistenza, sembra che sia proprio così. Mi riferisco al fatto che in tempi difficili come i nostri si crea una sorta di trasmissione invisibile da persona a persona di pensieri e sentimenti di depressione, di insoddisfazione, di intolleranza, di paura, di smarrimento. Quanto accade, ad esempio, in Iraq o in altri territori di guerra, entra a far parte della "psiche di gruppo" che avvolge tutto il pianeta, e si trasmette anche a chi non ha gli stessi problemi e non deve affrontare direttamente il rischio di una morte violenta o provvedere al proprio e altrui sostentamento in condizioni disperate. Questo tipo di influenza invisibile, che si propaga per mezzo di una sorta di "inconscio collettivo" alla maniera junghiana, oppure dell'Anima Mundi degli ermetisti, fa sì che aumenti nelle persone in tutto il pianeta un'inquietudine, un'angoscia che non ha una spiegazione immediata. Anche chi non segue i notiziari, chi sorvola su tante cose e si disinteressa della drammaticità di tanti avvenimenti, può trovarsi a sentire una infelicità interiore che non ha spiegazioni evidenti: pur conducendo una vita abbastanza tranquilla, non avendo problemi particolari, si arriva a percepire uno squilibrio interno, del cuore, di cui magari non si riesce a trovare la causa. Questo "contagio psichico" - in maniera più o meno consapevole - viene anche utilizzato da qualcuno, per esempio da certi governi o certe parti politiche, perché diffondere una sensazione di instabilità e di emergenza è uno strumento per dirigere più facilmente le masse, per far passare cose che in tempi tranquilli non sarebbero né accettabili né concepibili. Come difendersi da queste correnti psichiche negative che, in un modo o nell'altro, ci coinvolgono e influenzano la nostra vita? Un modo è quello di, innanzitutto, prenderne coscienza: già la consapevolezza permette di esserne abbastanza liberi, perché riduce la forza trascinante dell'inconscio e la incanala in modo diverso. Poi, io credo, qualsiasi percorso di autoconoscenza, di introspezione, di recupero della dimensione spirituale e individuale, conferisce una buona parte di autonomia rispetto alle correnti collettive e alla psiche di gruppo. Infine, una corretta pratica di meditazione o preghiera - intesa come contatto con la parte più profonda di sé - è uno strumento potentissimo per contrastare la depressione e il malessere, anche quelli indotti dai contagi di cui parliamo. Riappropriarsi di speranza, di coraggio e di buon umore è un sistema per aiutare invisibilmente gli altri (cui va offerto, naturalmente, anche l'aiuto "visibile"!) e per "innalzare" l'atmosfera psichica del pianeta: la trasmissione sul piano sottile dei pensieri e delle emozioni avviene anche per quelli positivi e, dunque, in questo caso rappresenta un "contagio virtuoso", una purificazione dell'Anima Mundi in cui tutti siamo immersi e da cui tutti possiamo trarre sostegno e beneficio.

martedì 9 gennaio 2007

Obiettivi.


Credo che, essendo questo l'inizio del ciclo annuale, possiamo considerarlo un momento di rinnovamento, di riorganizzazione di noi stessi e della nostra vita. Ritengo abbastanza importante - ed anche divertente - porsi ora degli obiettivi, degli indirizzi da raggiungere, delle mete per cui lavorare nel corso del 2007. Personalmente è da qualche anno che lo faccio, e devo dire che la cosa è intrigante e stimolante. E' anche interessante verificare a fine anno che cosa è successo, quello che si è davvero riusciti a concretizzare, quello che va riconfermato - per cui vale ancora la pena di ritentare - e quello che, magari, si è rivelato un indirizzo non produttivo - di scarsa saggezza o lungimiranza. Naturalmente si tratta di un esame della propria vita molto personale, da prendere come un gioco serio, atto anche a favorire una meditazione introspettiva e ad aprire nuovi orizzonti accogliendo i propri desideri (magari anche quelli impossibili) e cercando di impegnarsi per essi. Il desiderio, specialmente andando avanti negli anni e nella maturità, finisce spesso per essere considerato come qualcosa di poco realizzabile, un fatto solo interiore, immaginativo, fantastico, che non ha molta relazione con la vita di tutti i giorni. Però non è detto che sia così: anche se il nostro quotidiano è molto strutturato e ci sono pochi spazi per le novità, anche se il passato con le sue esperienze suggerisce un certo andamento delle cose, c'è sempre un margine di cambiamento, di rinnovamento, di miglioramento - e spesso la chiave per trovarlo e poterlo utilizzare sta proprio nelle nostre fantasie, nei nostri sogni ad occhi aperti. Non rifiutare il sogno diurno (così come spesso facciamo anche con quello notturno), dare ad esso ascolto, dignità, può restituirci fiducia, speranza, soprattutto se cominciamo a chiederci come - iniziando da poco e da vicino - possiamo cercare di portare l'immaginazione nel concreto, supportandola con azioni reali. Forse proprio uno dei significati più profondi e più veri della nostra esistenza sta nella possibilità di creare una unione produttiva fra ideale e reale, fra alto e basso, fra interno ed esterno, fra passato e futuro - la famosa "conjunctio oppositorum" indicata dagli antichi alchimisti. I desideri sono il nostro potenziale vitale, perché non dare loro ascolto? Certo, probabilmente essi costituiscono una energia primaria grezza, una materia prima che, per essere utilizzabile, va lavorata, raffinata, a cui bisogna dare forma attraverso il confronto con la realtà esterna ed interna, con l'ambiente, con gli altri. Però dobbiamo tentare. Se lo facciamo, anche soltanto l'atto di dare seriamente ascolto ai nostri sogni può farci recuperare una grande energia, liberando un potenziale in grado di trasformare o rivoluzionare in meglio la nostra vita e quella degli altri. Credere per provare...