mercoledì 30 dicembre 2009

Dibattito inespresso sui rituali




Il seguente colloquio è la versione un po’ trasfigurata di uno scambio di opinioni realmente accaduto. I coniugi Bigo, al di là del nome fittizio e di alcune modificazioni di fantasia, sono persone realmente esistenti. La differenza più rilevante fra le cose di seguito dette e quelle pronunciate davvero sta nel fatto che scrivendo sono libero di esprimere fino in fondo il mio punto di vista, mentre con i veri Bigo vengo cortesemente tacitato prima di poterlo fare.

Grimilde Bigo ci chiede gentilmente: “Scusate, sapreste dirmi – in nome di Dio - perché non vi siete sposati con rito religioso?”
Rispondiamo: “La nostra intenzione era ed è sempre stata “religiosa”, perché abbiamo dato anche un valore interiore, spirituale, d’anima, alla nostra unione.”
“Si, vabbé” replica Grimilde sbrigativa,“però in queste cose ha la sua importanza l’aspetto rituale. Bisogna vedere che cosa “ufficialmente” si professa dal punto di vista religioso. Si può anche praticare il buddismo, come fate voi, oppure lo yoga induista, la massoneria, i culti magici o chissà cos’altro, ma ufficialmente siete cattolici! Quindi, se ci si sposa bisogna farlo con il rito della religione cui ufficialmente si appartiene. Sposarsi soltanto con il rito civile è parte della moderna decadenza dei costumi e della morale, nonché della dilagante perdita di valori.”
Essendo abbastanza abituati alle opinioni dei coniugi Bigo e conoscendoli da molti anni, riusciamo a percepire in questa sorta di ramanzina un’intenzione non troppo ostile nei confronti nostri e delle nostre scelte, anzi, probabilmente c’è lo scopo positivo di offrire un insegnamento. Tuttavia, pensandola in modo diverso, mi vedo costretto ad obiettare:
“Vedi Grimilde, lo so che ciò contrasta con le vostre opinioni, però credo che la crescente laicità della società, dei costumi e degli individui sia un valore, non una perdita: significa che le persone sono o dovrebbero essere più responsabili, senza necessariamente un’autorità sovraimposta. Essendo questo un fine ideale, non ancora veramente realizzato ma al quale bisogna lavorare, esso ha sicuramente delle connotazioni evolutive, etiche e spirituali; ma questo è un altro discorso, che abbiamo già affrontato più volte e che, come già sappiamo, non ci trova in sintonia. Però, per tornare alla questione attuale, ti devo rispondere che “ufficialmente” noi non siamo più cattolici, bensì buddisti.”
“Cosa?”, esclama Grimilde, “com’è possibile, che cosa diamine state dicendo? Voi praticate il buddismo, ma è una sorta di moda, un esotismo, e non implica un cambiamento di religione!”
“Beh” rispondo, “nel nostro caso sì: ormai 13 anni fa, come ho cercato di spiegarti altre volte, abbiamo fatto un atto vero e proprio di conversione, aderendo ad un Istituto buddista pienamente riconosciuto dallo Stato italiano. Si tratta di un riconoscimento formale e ufficiale. E’ in corso anche un procedimento d’intesa per il quale un matrimonio buddista possa essere legale, ma ancora non è completo. Quindi, per ora, bisogna – prima di fare il rito buddista – essere già sposati civilmente presso il Comune di residenza. In un prossimo futuro sarà certamente diverso.”
“La cosa mi lascia veramente perplessa” asserisce la nostra amica, “soprattutto sulle motivazioni che hanno condotto a questa cosiddetta “conversione”. Personalmente credo che le religioni siano tutte uguali, e quindi non occorre certo convertirsi! Inoltre, visto che sono uguali o equivalenti nella sostanza, potevate anche sposarvi con cerimonia cattolica – che oltretutto incarna la nostra tradizione. Fate pure come volete, comunque sarebbe stato meglio conferire un valore spirituale al matrimonio…”
“Scusa se replico ancora: non è per fare polemica ma, visto che mi solleciti concettualmente, mi sembra doveroso chiarire. Innanzitutto devo dire che noi consideriamo “spirituale” la nostra unione, e lo testimonia il nostro lungo e armonioso percorso insieme. Inoltre, proprio in quanto buddisti, non abbiamo alcun bisogno del rito buddista per “santificarla”: questo rito è considerato un “optional”, qualcosa che avremmo molto gradito, ma non avremmo neanche voluto sottoporre i nostri ospiti a due cerimonie, quella civile e quella religiosa, magari in due giorni diversi. Per un buddista è un impegno continuo, di ogni istante, trovare una sintonia con il divino, non un sacramento concesso una volta per tutte. Infine, per ciò che riguarda il seguire la nostra religione “tradizionale”, mi chiedo perché non praticare allora il culto di Giove, dei Lari e dei Penati – lasciando il cristianesimo all’oriente da cui proviene?”
A questo punto interviene Otto Bigo, piccato: “Mi pare che non tutti i buddisti la pensino alla stessa maniera. Certo, lo so che esistono diverse impostazioni in questa religione, ma pensavo che almeno aveste un rituale unitario per il matrimonio! Così dimostrate di essere delle… sette!”
“Indubbiamente ci sono delle differenze fra le varie scuole, ma questo non è stato mai motivo di guerra, di scontri cruenti o di procedimenti inquisitori nella storia del buddismo. Anzi, le differenze potrebbero essere perfino la ricchezza di questa grande religione! Sebbene ogni impostazione rivendichi una maggiore aderenza all’insegnamento originario del Budda, tutte accettano il dibattito con le altre scuole. Perché, dunque, uniformarsi, soprattutto quando le differenze possono essere rilevanti? E’ giusto, invece, che ognuno possa professare e attuare il suo punto di vista. O vogliamo “globalizzare” anche la religiosità? Io so che, soprattutto nei paesi di lingua inglese, esiste un rituale di matrimonio unitario fra varie confessioni cristiane. Lodevole, ma non tutti aderiscono. Voi, ad esempio, con quale tipo di cerimonia vi siete sposati?”
“Cattolica, è ovvio” esclama Otto.
Ecco, appunto…

Sposi!



Il giorno 16 dicembre 2009 io e Paola ci siamo sposati dopo ben 33 anni di “fidanzamento”! In effetti siamo sempre stati talmente convinti di essere nella sostanza già uniti in matrimonio che, per motivi legali e formali, avremmo utilizzato volentieri anche soltanto la legge sulle coppie di fatto promessa dallo scorso governo. Poiché quella innovazione legale non è stata poi attuata, abbiamo deciso di sposarci regolarmente con cerimonia civile. Devo dire che – in maniera non del tutto prevista, essendo nelle intenzioni iniziali una presa d’atto formale dell’unione già esistente – la cerimonia è stata particolarmente sentita e commovente. Di questo ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato, che ci hanno sostenuto, accolto e festeggiato con il cuore – e sono stati tanti, fra amici e parenti. Per ciò che riguarda noi due siamo felici di aver trascorso insieme tutti questi anni e lo siamo tuttora, immensamente, nel condividere le nostre vite. Sappiamo che questo tipo di unione non è scontato, anzi, che è una grande fortuna, una benedizione, e di questo siamo grati. Oggi possiamo dire di aver raggiunto un ulteriore e importante traguardo: quello di un completo riconoscimento familiare e sociale. Grazie veramente, grazie a tutti!

giovedì 3 dicembre 2009

Londra: il crocevia degli opposti



Dopo quindici anni siamo ritornati a Londra, così, per vedere com'è eventualmente cambiata e l'effetto che ci fa. Devo dire che, al di là delle novità come "the London Eye" (la ruota panoramica) e simili modificazioni scenografiche, architettoniche e strutturali della città, la percezione che se ne ha è sempre la stessa: accoglienza, cosmopolitismo e buona organizzazione. C'è una grande fusione di contraddizioni e di opposti polari a Londra, dove convivono armonicamente tradizione e innovazione, provincialismo e globalismo, rigidità e flessibilità, caos e ordine, monarchia e democrazia, e via dicendo. A pensarci bene, non è che queste opposizioni si fondano veramente, anzi, permangono immutate, però si incontrano, si toccano, vivono insieme, si alternano e cooperano, forse si rispettano persino. Non si arriva allo scontro diretto e definitivo degli opposti, semmai all'ignorarsi reciproco e, quindi, anche alla tolleranza, perché ognuno può essere proprio com'è, trovare il suo ambito in questo grande insieme che è la città, in questa enorme, variopinta e sterminata folla metropolitana. Londra ancora oggi incarna l'Impero Britannico, dove trovano spazio l'Europa, l'Asia, l'Africa, l'Oceania... dove tutto ha cittadinanza purché non si violino le semplici regole comuni della convivenza. Così l'enorme ruota panoramica che troneggia davanti al Big Ben, a Westminster e alle Houses of Parlament è, a ben vedere, la manifestazione visibile di un archetipo, un grande simbolo che ben descrive il senso e la profondità di questa città: è l'archetipo della Ruota, The Wheel of Fortune, l'Arcano X del Libro di Toth, dove il movimento inarrestabile degli opposti che salgono e scendono sulla circonferenza della ruota stessa sono compensati dall'immobilità e l'immutabilità del centro, del mozzo, mentre il tutto è sovrastato dall'equilibrio di un'enigmatica sfinge, alata e coronata, che sorregge la spada del diritto.