giovedì 11 novembre 2010

Era meglio prima?


Mi capita frequentemente di imbattermi nell'opinione che le cose andassero meglio nei tempi passati, socialmente e culturalmente, nei comportamenti, nel costume, nelle ideologie, nella visione del mondo. Chi esprime questa opinione nota che oggi esiste una crisi di valori, specialmente nei giovani, ma anche in generale. Ritiene che ci sia un degrado nei comportamenti ovunque, che non ci sia più serietà, che non ci sia più responsabilità. Qualcuno collega questo fenomeno ad una assenza di religione, che non viene più sentita e osservata. Queste persone, che in genere sono di mezza età o più - ricordando i tempi trascorsi e nonostante i difetti che da giovani, all'epoca, avevano riconosciuto in chi governava, in chi aveva posizioni di potere o di conoscenza nella società o nella famiglia, e contro i quali aveva magari protestato - oggi prova rimpianto: pensa che le cose andassero tutto sommato molto meglio, che ci fosse coesione sociale, che ci fosse una sincera ricerca di miglioramento, che i ruoli fossero importanti e rispettati, che si potesse concepire un futuro, cosa attualmente molto più confusa, complessa e incerta. Devo dire che queste osservazioni sembrano anche a me abbastanza calzanti e che si possa condividerle, perché la situazione mondiale adesso sembra veramente senza precedenti: lo smarrimento può prevalere, i problemi collettivi, ambientali, sociali possono sovrastarci in una maniera che non si è mai verificata, in nessuna epoca, con analoga potenzialità distruttiva. E' vero anche che la religione tradizionale, soppiantata durante il secolo scorso con le "fedi" politiche e ideologiche del comunismo o del nazionalismo, ora non trova più neanche nelle ideologie una sostituzione, e che rimane un vuoto di speranza oppure la tendenza a rifugiarsi nei fondamentalismi, nelle etnie, nelle ottuse divisioni. Non voglio, però, indugiare nel descrivere ancora i nostri tempi e le problematiche correlate, che sono tante e forse di difficile comprensione. Quello che voglio dire è che, quando sento i discorsi di quelli che dichiarano che "era meglio prima", stranamente, nonostante capisca e condivida molto di quanto affermano, non riesco ad essere della loro stessa idea, non mi sembra proprio vero che una volta il mondo fosse migliore. Credo invece che questo sia un errore diffuso, una specie di "errore di parallasse" nel punto di vista di chi fa questo tipo di osservazioni. Provo a spiegarmi meglio:
1. non si può negare che la sensazione che un tempo esistessero valori oggi perduti e che si stesse più o meno bene, che i giovani siano confusi o peggio, ecc., sia propria ad ogni epoca. I genitori o gli anziani hanno sempre avuto l'impressione che le giovani generazioni non fossero all'altezza, che fossero mancanti di raziocinio, sbandate, senza ideali. Io, che ho 52 anni, ricordo questa opinione in coloro che mi hanno preceduto e che, quando ero un ragazzo, mal comprendevano i miei pensieri e comportamenti. Anzi, in qualità di giovane, ero molto critico verso la cultura e la società allora esistente e che rappresentava, per me, valori vecchi e superabili. Lo scontro generazionale può essere più o meno marcato, può variare nelle varie epoche in intensità, può essere più o meno espresso o represso, ma esiste. Gli anziani, inoltre, hanno la tendenza a rimpiangere ciò che è trascorso e a non comprendere l'attuale. Se leggiamo resoconti del XIX secolo o dell'epoca romana o di altre fasi storiche, possiamo ritrovare queste stesse modalità: esse sono un cliché, addirittura un archetipo.
2. Secondo la psicologia, la fase prenatale e intrauterina e anche il rapporto infantile con la madre sono esperienze che rimangono profondamente incise nell'inconscio e influenzano in vario modo tutta la nostra vita. Si tratta di elementi affettivi e anche simbolici che - secondo Freud -sarebbero perfino alla base della religiosità, con il suo desiderio di abbandono e di totalità. Se davvero nel nostro inconscio abbiamo questo, se sottilmente percepiamo nel nostro passato un'epoca di calore, sicurezza, beatitudine, dobbiamo forse meravigliarci del suo affiorare in età matura, quando le forze fisiche declinano e il nostro futuro si assottiglia, quando entriamo nella fase in cui nel cuore percepiamo il confronto con le cose che finiscono, con la morte? Il sentire che "era meglio prima" potrebbe in realtà nascondere il rimpianto per la condizione infantile e addirittura per quella pre-natale, fonti di soddisfazione e sicurezza che la psicologia ritiene irripetibili. Anche con una semplice riflessione di senso comune, inoltre, possiamo notare che "quando le cose andavano meglio" eravamo in una fase diversa della nostra vita individuale: avevamo una visione più flessibile e meno strutturata, meno condizionata dall'esperienza, avevamo più futuro e maggiore vitalità. La rivalutazione del passato e la critica dell'attuale, dunque, pur essendo rivolte alla situazione sociale e ambientale, in realtà riguarderebbero principalmente noi stessi e il nostro modo di percepirci.
3. C'è un mito che fa parte, per così dire, dell'inconscio dell'umanità e affonda nella notte dei tempi: è quello dell'Età dell'Oro. Esiste pressocché in tutte le culture e in tutte le tradizioni questa idea di un paradiso perduto, di un'era di felicità e saggezza, di una civiltà superiore ora scomparsa. Prescindendo dalle anzidette considerazioni psicanalitiche, che potrebbero sottostare anche a questa concezione, e dando credibilità all'idea che un tempo - in un'epoca di cui la storia che conosciamo non conserva che flebili tracce - esistesse veramente un mondo migliore e una civiltà più evoluta della nostra, possiamo ipotizzare che dentro di noi, collettivamente, ne portiamo ancora il ricordo. Tale mito vive nel nostro profondo e, quando attraversiamo tempi difficili, di crisi, di oscurità, così frequenti nella storia dell'uomo, esso affiora con potenza dandoci la precisa sensazione che prima le cose andassero meglio, che le persone fossero più sagge, eccetera. In realtà ci riferiamo, inconsciamente, non al periodo che abbiamo vissuto precedentemente e personalmente, ma ad un evento molto più remoto, patrimonio ancestrale dell'umanità...
Concludo con un'ultima considerazione: io non vorrei ritornare indietro. Anche l'epoca della mia infanzia e giovinezza, in fondo, non mi sembra così accattivante. Sarebbe terribile doversi confrontare con la stessa cultura, certe chiusure mentali e sociali, una certa ristrettezza di condizioni familiari, educative e di costume. Per carità! E ancora peggio sarebbe tornare nell'Ottocento, con le sue insurrezioni, i suoi dolorosi tentativi di liberazione e unificazione, e poi, via via più indietro, Settecento, Seicento, Medioevo, Antichità, durante le inquisizioni, le torture, i fanatismi e i dogmatismi, le guerre e le discriminazioni sociali e religiose che hanno sempre caratterizzato la storia dell'uomo. No, amici miei, non ci sto. Personalmente ritengo che... è senz'altro meglio oggi, sia pure con tutti i problemi che dobbiamo affrontare mi sento più libero, ho la possibilità di essere me stesso! Il mondo che viviamo, in realtà, è meraviglioso, fantastico, senza precedenti, e credo proprio che, se riusciamo a superare certi ostacoli, domani lo sarà ancora di più! Stiamo seguendo una direzione evolutiva, lenta ma inesorabile. Perché tornare indietro? Anch'essa presente nei miti, esiste un'altra Età dell'Oro: quella che ci attende, quella che sapremo costruire con saggezza e responsabilità a cominciare da ora per andare verso il futuro...

mercoledì 10 novembre 2010

I tre veleni


Osservando quanto avviene in questi giorni in Italia e nel mondo nell'ambito della politica, della società, nella cronaca, nel costume, mi sovviene un calzante concetto della tradizione buddista, quello dei tre veleni. Nella nostra mente esistono dei fattori inquinanti che nel buddismo vengono paragonati a sostanze venefiche che uccidono la pace, distruggono la serenità di spirito e la chiara visione delle cose, ottundono la sensibilità e ottenebrano la comprensione trascinando verso la sofferenza, il conflitto e via dicendo... Essi sono identificati come avidità, stupidità e collera.
L'avidità è l'insoddisfazione profonda che spinge a cercare continuamente di riempire il vuoto interiore con esperienze, oggetti, acquisizioni di vario tipo che, però, non bastano, non sono sufficienti a dare un vero appagamento. E' un pò il background consumistico che sostiene la nostra società, quello su cui fonda la nostra economia e su cui fa leva la pubblicità. Se non ci fossero bisogni, desideri... bisognerebbe inventarli, ed è infatti proprio questo il mestiere del pubblicitario, del venditore di professione. Anche il politico fa leva sull'insoddisfazione, che spesso è fondata su reali necessità e giuste motivazioni, prospettando facili soluzioni o scenari allettanti. D'altra parte se l'avidità può essere un veleno, in giuste dosi è il motore di qualsiasi ricerca, movimento e vitalità. Senza desiderio non ci sarebbe prospettiva, direzione, sforzo, non ci si metterebbe mai in discussione. Nelle giuste dosi ogni veleno può essere medicina, e viceversa! A livello sociale, sempre secondo il buddismo, il veleno dell'avidità produce la crisi economica.
La stupidità è la caratteristica di una mente chiusa, ignorante di qualsiasi cosa che non sia l'impulso del momento. L'istinto, anch'esso così importante nella nostra vita, anch'esso fondamentale per il suo sostegno, può essere un potente fattore negativo quando ottenebra la ragione e la sensibilità. Qualsiasi azione compiuta senza prevedere o preoccuparsi delle conseguenze, ma obbedendo soltanto ad una cieca impulsività, è sostanzialmente stupida. Quando ci si comporta come bestie (facendo salvi gli animali, che hanno una loro integrità e dignità), quando ci si fa trascinare dal branco, allora si è intossicati da una stupida ignoranza. Socialmente il buddismo identifica nelle epidemie le conseguenze della stupidità. Il contagio collettivo può riguardare vere e proprie malattie e piaghe sociali, come anche la trasmissione di virus psichici, di gruppo, quelli che coinvolgono le folle.
La collera non è soltanto la rabbia in senso stretto - che dal punto di vista positivo è determinazione, lotta contro l'ingiustizia - ma implica la svalutazione dell'altro da sé, la sopraffazione, il voler essere superiori e vincenti con qualsiasi mezzo. Questa sorta di egoismo fonda sull'insicurezza, sul bisogno di eliminare o sconfiggere gli altri per sentirsi forti, potenti, importanti. E' un veleno ben riconoscibile ovunque prevalga l'ambizione, l'avversione, la differenziazione violenta, la mancanza di considerazione. E' spesso riscontrabile nei posti di lavoro e dove impera il cosiddetto principio del mors tua vita mea, per esempio in politica. Il buddismo riconosce nel veleno della collera la radice di ciò che è conflittualità e che in senso sociale e collettivo genera la guerra.
Il buddismo prospetta anche degli antidoti, consistenti essenzialmente nella coltivazione degli aspetti positivi insiti comunque negli stati mentali descritti, nella consapevolezza di essi e, soprattutto, nella ricerca dell'illuminazione - cioè di una vera felicità non condizionata da fattori esterni. Questo, però, è un discorso ulteriore rispetto al riconoscimento dei tre veleni in noi stessi e nel nostro ambiente, e varrebbe la pena di approfondirlo...