mercoledì 23 maggio 2007

La sfida della complessità.


Soltanto qualche notazione su un argomento che andrebbe maggiormente sviluppato in seguito: parlo della complessità del nostro mondo. In breve, come riflettevo negli ultimi giorni, credo che la sfida di questa nostra epoca non sia tanto quella di ritrovare dei valori perduti in una realtà in costante cambiamento. La comunicazione, la sovrabbondanza di informazioni che la tecnologia ci mette a disposizione, la stragrande possibilità di scambio e di contatto con tutto il resto del mondo... ebbene credo che proprio questo panorama così vasto e il bombardamento continuo di stimoli visivi, auiditivi e conoscitivi costituisca la difficoltà maggiore per l'uomo di oggi, cioè la difficoltà di metabolizzare tutto questo. E' probabile che le malattie della nostra epoca - ogni epoca storica ha avuto le sue specifiche - siano e saranno sempre più quelle neurologiche, quelle legate alle forme di demenza, ai disturbi depressivi o, più semplicemente, al senso di disagio, vuoto e panico così diffusi. Alcuni, di fronte a questa enorme e dilagante sovrabbondanza di stimoli in costante mutamento - lo si può vedere nelle cronache - "esplodono" con comportamenti imprevedibili e violenti, insospettati. Altri tentano di rinchiudersi nella confortevole struttura di valori tradizionali che, però, non reggono e non comprendono più la realtà delle cose. Altri ancora fuggono verso settarismi fanatici. Quello che manca e sempre più tende a svanire sono le certezze, i punti saldi fino a poco tempo fa rappresentati dalle identificazioni familiari, sociali, politiche o religiose. Secondo me la sfida non sta nel recuperare quelle identificazioni, che hanno fatto il loro tempo e sono servite di sostegno in altre epoche. Anzi: sarebbero una forma di regressione. Il punto, oggi, è metabolizzare la diversità, ritrovando un forte senso di identità e, allo stesso tempo, una grande apertura, la capacità di accogliere il molteplice, il diverso, l'ignoto, con rispetto e interesse, con la disposizione ad imparare. E' un salto di livello quello che ci attende e, si sa, ogni trasformazione comporta le sue difficoltà e un iniziale senso di smarrimento. Probabilmente, però, l'ampiezza della consapevolezza che ci attende sarà una giusta ricompensa per questa attuale umanità così smarrita e apparentemente senza un obiettivo, senza una visione. La visione c'è, sta emergendo, ed è quella di una globalizzazione virtuosa: dell'unità nella diversità, della stabilità nel cambiamento...

giovedì 10 maggio 2007

Scomunica.


Pare che il Papa, in occasione del suo viaggio in Brasile, abbia dichiarato che i politici favorevoli ad una legge che consenta l'aborto possono essere soggetti a scomunica da parte della Chiesa. Per la precisione sono stati alcuni vescovi messicani a indicare per primi questo tipo di sanzione, e il Papa ha soltanto osservato che la cosa non è arbitraria, bensì è in sintonia con la dottrina cattolica. La sala stampa del Vaticano, successivamente, ha voluto tranquillizzare: il Pontefice non voleva scomunicare nessuno. Però, in effetti, sembra che secondo la Chiesa i politici di cui sopra farebbero meglio ad astenersi dal sacramento della comunione: assumere il "corpo di Cristo" è incompatibile con l'uccisione di un feto. Etimologicamente, comunque, credo che "scomunica" abbia lo stesso significato dell'astenersi dalla comunione. Ora, personalmente, comprendo come le sempre più frequenti precisazioni dottrinarie del Papa e del Vaticano possano destare in qualcuno delle perplessità (o peggio), soprattutto se si è di diverso avviso. Si dice che stia emergendo il lato conservatore della Chiesa, e che questo contrasti con l'anima laica e libertaria della cultura contemporanea. Francamente mi sembra che il fatto che la Chiesa tenda a ribadire quelli che sono punti essenziali della fede cattolica non sia sbagliato. Non credo che concetti come quello anzidetto sul divieto assoluto di abortire, oppure sull'uso dei contraccettivi, sull'omosessualità, sulla famiglia, sul matrimonio e via dicendo, siano espressione dell'atteggiamento conservatore del Vaticano: mi sembra, invece, che siano veramente punti essenziali del cattolicesimo, in mancanza dei quali questa religione sarebbe mancante di alcuni capisaldi, e lo stravolgimento sarebbe troppo grande. Di fronte, quindi, ad una Chiesa che - per motivi di opportunità - tollera certi comportamenti o idee divergenti dalla sua linea senza pronunciarsi troppo in merito, ed una che invece si espone al rischio di essere impopolare per riaffermare la propria dottrina, io preferisco la seconda! Secondo la mia opinione - e ribadisco che esprimo solo un mio discutibilissomo ragionamento personale - negli ultimi decenni il tema religioso si è superficializzato troppo, e molti di quelli che si dichiarano cattolici conoscono veramente poco di questa religione. Inoltre, se interrogati direttamente, le loro opinioni contrastano o sono in disaccordo con punti fondamentali della dottrina: l'infallibilità papale, la confessione, il fatto che il Cristo non sia soltanto un grande Maestro spirituale ma il Figlio di Dio, eccetera. Poi c'è il fenomeno di coloro che aderiscono a tecniche o impostazioni spirituali "New Age", oppure a discipline che provengono dall'Oriente, e iniziano a credere, pur rimanendo formalmente cattolici, a cose che non rientrano a nessun titolo nella dottrina della Chiesa: per esempio il concetto del karma, la fede nella reincarnazione e altro. Il Vaticano non può essere "liberale" su queste tematiche, perché il cattolicesimo - se integrasse certe visioni - semplicemente non sarebbe più tale, diventerebbe un'altra religione! Per tornare, dunque, al ragionamento iniziale, dico che secondo me il Papa fa bene a precisare il senso della dottrina e i suoi capisaldi. In questo modo chi rimane cattolico o sceglie di esserlo può sapere a che cosa aderisce, e può decidere con chiarezza se condivide o no certe idee. Se non le condivide, se non è in comunione con esse, può scegliere una impostazione religiosa diversa, o nessuna, senza continuare a sentirsi parte di una religione che, in realtà, non lo rappresenta. Ha la possibilità di decidere in piena consapevolezza, utilizzando i poteri della discriminazione e della scelta responsabile che competono ad ogni individuo adulto: elementi fondamentali che è bene imparare ad utilizzare sempre più spesso e con sempre maggiore indipendenza e maturità.