martedì 30 marzo 2010

Giuliano

Altro libro che ho letto recentemente e che mi ha molto interessato è "Giuliano" di Gore Vidal. Questo autore, scrittore e sceneggiatore statunitense (che prese parte anche alla scrittura del famoso film "Ben Hur"), si cimentò nel 1964 con il romanzo storico ambientato nell'antichità classica. Per scriverlo si era documentato per anni studiando presso le biblioteche capitoline, a Roma. Il risultato è un racconto splendido, acuto e molto accurato nell'ambientazione e nei riferimenti storici. Questo romanzo viene spesso accostato a grandi racconti come quello, sicuramente più poetico e struggente, di Marguerite Yourcenar, "Memorie di Adriano", oppure al graffiante e smaliziato "Io, Claudio" di Robert Graves. Si tratta, dunque, di un capolavoro. Quello che soprattutto colpisce, però, è che l'autore abbia voluto affrontare un personaggio marginale, inserito in un periodo della storia di Roma secondario o, comunque, lontano dal rigoglio dell'Impero cui si è abituati a pensare: è il momento della decadenza, dello sfaldamento, degli ultimi sprazzi di uno stato millenario e glorioso, ormai completamente trasfigurato dopo Costantino e l'avvento del cristianesimo. Giuliano è un imperatore classicista, uno che vorrebbe ripristinare non tanto gli antichi fasti di Roma, quanto un'antica visione del mondo, un'antica fede: quella negli dei come espressione multiforme di un unico Assoluto - identificabile simbolicamente con il Sole, ma certamente non riducibile al solo astro fisico. Al di sopra dei livori, delle rivalità e della chiusura delle sette cristiane, Giuliano vorrebbe il ritorno all'ampiezza di una visione onnicomprensiva e liberale in ambito religioso. In quest'ampiezza egli riconosce lo spirito di Roma, la sua forza, e l'intelligenza della Grecia, patria della cultura e della sensibilità. Egli, però, è fuori del suo tempo, ormai orientato con determinazione verso la frammentazione delle culture, l'irrigidimento ideologico, l'unidirezionalità del culto. Il suo esperimento risulta anacronistico e, nonostante l'illuminazione dello studioso, la capacità di essere uno statista giusto e cosciente dei suoi limiti, e un ottimo stratega emulo di Alessandro, soccombe alla congiura: non viene compreso e suscita diffidenza e paura in tanti dei suoi contemporanei. Ecco, allora, che Giuliano viene ad essere un eroe tragico, il cui destino è già segnato, che forse pecca anche di ingenuità e di eccessivo idealismo, ma certamente - a suo modo e nell'ambito di una religione destinata a finire - un puro, un santo. La sua figura, amata, raccontata e dibattuta nel ricordo di due suoi amici, due vecchi filosofi, trova alla fine del romanzo un contraltare poetico, per certi versi commovente, in Giovanni Crisostomo, paladino del nuovo critianesimo, anche lui un puro e un santo - ma con diversa impostazione. Rimane l'enigma di un uomo che verrà giudicato un eretico e chiamato dai detrattori l'Apostata, ma dalla profonda sensibilità e umanità, forse unico nella storia di Roma. Alla fine si comprende la scelta rivoluzionaria del romanziere Vidal: Giuliano non è affatto un imperatore "minore"...

martedì 2 marzo 2010

Il crocifisso del samurai



Vorrei fare alcune notazioni su un romanzo letto negli ultimi giorni: "Il crocifisso del samurai" di Rino Cammilleri. Non ho la pretesa di scrivere recensioni, esprimo soltanto il mio parere di lettore, le mie impressioni. Il pregio di questo racconto è quello di informare e porre l'attenzione su un evento poco conosciuto in occidente, avvenuto nel Giappone del XVII secolo: quello della rivolta dei samurai di fede cristiano/cattolica. Nel 1637 circa quarantamila persone composte soprattutto da contadini, con donne e bambini, oppressi dal potere del governo militare e guidati da una minoranza di guerrieri esperti, si ribellarono finendo per asserragliarsi in un castello in disuso, quello di Hara. L'assedio durò cinque mesi e mise a dura prova l'onore dello Shogun, che non riusciva ad avere ragione dei ribelli nonostante l'ingente impiego di forze perfettamente armate e addestrate. L'epilogo, naturalmente, fu il massacro totale degli insorti, ma provocò anche la perdita di settantamila uomini appartenenti alle truppe governative. Cammilleri pone l'accento sul fatto che i ribelli professavano la fede cattolica, introdotta in Giappone in precedenza dal padre missionario Francesco Saverio, e ritiene l'intero episodio analogo alle storie di martirio e di persecuzione cui l'agiografia cristiana fa tradizionale riferimento. Secondo me, però, esistono possibili argomenti di discussione sul romanzo o, perlomeno, di riflessione, che vorrei qui accennare:

1. la fede cristiana è qui presentata come una seria alternativa all'animismo shintoista e al buddismo giapponese - anzi, come l'unica vera religione. Prescindendo da quest'ultima affermazione - che a mio parere non necessita di commento - un'alternativa deve però avere i caratteri della novità, e probabilmente questa - nell'epoca esaminata - stava proprio nel suggerire agli "oppressi" una possibilità di riscatto, di uguaglianza con gli altri uomini, e forse anche nel fatto che si trattava di una religione proveniente dall'estero e quindi, agli occhi dei giapponesi, poteva avere una colorazione in più dal punto di vista della possibilità di mutare l'oppressiva cultura dominante. Cammilleri, invece, intravvede la motivazione primaria della rivolta nella rivendicazione della libertà religiosa, ritenendo la motivazione del disagio economico, della tassazione eccessiva e dei soprusi governativi, soltanto secondaria e marginale. Però viene da chiedersi: perché gli oppressi dovrebbero essere così battaglieri nel professarsi cattolici, se non perché questa religione fa intravvedere loro la possibilità di una giustizia superiore e di un riscatto dalle loro condizioni?
2. Dai discorsi dei personaggi e dalle situazioni illustrate nel romanzo, la religiosità cattolica mi pare venga a identificarsi soprattutto (vista anche la situazione disperata in cui si trovano gli insorti) nel fare affidamento sulla misericordia di Maria e di Gesù e sulla promessa di una vita felice dopo la morte. Non mi sembra che ci sia altro. Però, se si trattasse solo di questo, non si spiegherebbe perché i protagonisti non ricorrano al buddismo amidista piuttosto che ad una religione straniera: questa forma di buddismo, infatti, promette un'esitenza paradisiaca dopo la morte per intercessione di Amida (Amitabha) che, nella sua misericordia, aiuta tutti coloro che si rivolgono a lui con la semplice invocazione "Namu Amida Butsu" (= esprimo devozione al Budda Amida). Nell'amidismo la vita terrena consiste più o meno in una valle di lacrime di stampo cattolico, e la vera felicità va cercata altrove, in paradiso. Forse i giapponesi che parteciparono alla rivolta intravvidero nel cristianesimo qualcosa di più di una promessa ultraterrena, perché questa l'avevano già nella loro tradizione. Probabilmente trovarono nel cristianesimo cattolico qualcosa che, in realtà, difficilmente si potrebbe rintracciarvi: la forza di rivendicare i propri diritti ad un'esistenza migliore in questo mondo. Forse neanche il ricorso alle armi è propriamente in linea con il messaggio del Cristo, ma i samurai rivoltosi - evidentemente - non furono particolarmente sensibili agli aspetti non violenti della religione che abbracciavano (come non lo sono mai stati neppure i cristiani d'Occidente, sia cattolici che protestanti).
3. La compassione e l'uguaglianza fra tutti gli esseri viventi, che il romanzo pretende siano un'esclusiva cristiana, sono presenti in larga misura nel buddismo - particolarmente in quello del Sutra del Loto, professato soprattutto dalle scuole Tendai, Shingon e da quella di Nichiren. All'epoca, però, le prime due correnti erano in una situazione di declino e di sudditanza rispetto al potere politico e la terza, sebbene fondata nel XIII secolo da un grande e illuminato riformatore, Nichiren Daishonin, si era chiusa nel proprio ambito dottrinario senza riuscire ad offrire aiuto alla gente comune. Eppure in quest'ultima scuola c'erano già gli strumenti sia teorici che pratici e di fede per operare una grande ed efficace rivoluzione liberatoria e non-violenta: evidentemente i tempi non erano ancora maturi, e il messaggio del buddismo del Sutra del Loto e di Nichiren era ancora troppo avveniristico. Questo non significa, però, come lascia intendere Rino Cammilleri, che nella religione tradizionale dei giapponesi un tale insegnamento non ci fosse...