venerdì 30 dicembre 2005

Auguri!


Dietro l'abitudine di farsi gli auguri c'è tutta una tradizione di cui normalmente siamo poco consapevoli. La parola 'augurio', ad esempio, significa 'presagio', ed è connessa con la visione del futuro, con la lettura di segnali simbolici così come era usanza presso gli antichi romani o le altre popolazioni e culture durante particolari occasioni o momenti dell'anno. Augurale, augurio: in particolare s'intende un presagio positivo; cioè, quando 'facciamo gli auguri', intendiamo dire alla persona a cui li rivolgiamo che intravvediamo nel suo futuro degli eventi favorevoli, fortunati, insomma facciamo una predizione. Queste 'profezie' che offriamo avrebbero anche lo scopo di esorcizzare quegli eventi spiacevoli o negativi che, comunque, come per tutti, inevitabilmente faranno parte della nostra e altrui esperienza: sottolineando in anticipo che ci saranno circostanze fortunate nel futuro, intendiamo anche dire che quelle negative saranno secondarie, di secondo piano rispetto a quelle. In fondo c'è un messaggio sapienziale nascosto in tutto ciò: come se si volesse dire che qualunque cosa accada il senso della vita è sempre favorevole, conduce sempre alla crescita, all'ampliamento della coscienza. Come si dicesse che, comunque, l'esistenza non è priva di senso, che c'è un disegno preciso favorevole a tutte le creature viventi: di per sé questa è la 'buona novella', l'annuncio, l''evangelo', la rivelazione, l'illuminazione. Nella vita - oltre agli eventi belli, sereni o felici - ci sono sempre anche dei momenti duri, difficili, degli ostacoli da superare. Trovare in essi la forza per una crescita interiore e per un'apertura verso gli altri è... il miglior augurio!

venerdì 23 dicembre 2005

Natale e solstizio.


Noto che sempre più, anche al livello dei mass-media, si fa strada la consapevolezza che il Natale cristiano si innesta su una festa antichissima, celebrata in tutte le culture primordiali e legata al solstizio d'inverno: il momento in cui - astronomicamente - la luce rinasce, perché è stato raggiunto il massimo di oscurità. Quindi, simbolicamente, un momento di grande speranza, di rinnovamento, di rinascita. Come nella nostra vita, quando tocchiamo il fondo: è proprio in quell'istante, spesso, che sappiamo finalmente trovare una nuova visione delle cose e la forza per reagire. Anche il Capodanno attuale ha lo stesso significato, cioè deriva sempre dai tradizionali festeggiamenti solstiziali - come i Saturnali dell'antica Roma. Naturalmente il Natale ha conservato soprattutto i significati apollinei, ascetici, religiosi, mentre il Capodanno è più dionisiaco e istintuale. Anche se, a dire la verità, come tutti quanti possiamo osservare, s'è tutto molto superficializzato e di rituale o di religioso è rimasto ben poco. Rimane il desiderio di novità, l'incontro con gli altri con la relativa condivisione (più o meno gradita) e un vago senso che qualcosa dovrebbe o potrebbe accadere...

lunedì 19 dicembre 2005

E Adamo generò la donna.


Nel racconto di Genesi Eva, la donna, viene in qualche modo generata da Adamo, l'uomo, è una parte del suo corpo che viene separata da lui. Noto che la parola 'partorire' ha in sé - dal punto di vista etimologico - l'idea della della suddivisione: il bambino viene a separarsi dalla madre, è un suo componente che si distacca. Dunque, si può dire che nel mito biblico Adamo 'partorisce' Eva. Prescindendo dal dato religioso, è evidente che qui siamo di fronte ad una tipica inversione operata dalla cultura patriarcale nel momento in cui sostituiva il matriarcato. Nel momento in cui la nascente supremazia dei padri e della loro religione si andava affermando e andava soppiantando gli strati culturali precedenti connotati dalla devozione alla Terra e alle dee-madri, si rivelava di estrema importanza ribaltare simbolicamente anche il nucleo principale del 'potere' femminile: la sua caratteristica di dare la vita, di partorire. Così, nel racconto mitico, è l'uomo - per decisione di Dio, anch'egli 'Padre', quindi 'maschio' - che genera la donna, privandola del suo primato e del suo potere sulla controparte maschile. In questo modo viene anche esorcizzato un potente simbolo archetipico, quello della Madre Terribile, cioè della Vita come torrente impetuoso, imprevedibile e portatore di morte, sostituendolo con una diversa concezione: l'uomo può opporsi al Caos, alla Morte, alla Natura, al Nulla, istituendo un Ordine, un Cosmo, domando la componente terrifica del vivere attraverso la volontà umana e la sua logica. La supremazia dei padri e del Padre conferisce sicurezza e identità. Come tutte le cose, però, anche questo stadio culturale è soggetto ad evoluzione, a cambiamento, ed è destinato a naufragare nelle sue limitazioni: secondo me è a questa mutazione che, soprattutto nello scorcio degli ultimi due o trecento anni, stiamo gradualmente assistendo. La rivoluzione tende a trasformare lo stadio patriarcale in qualcosa d'altro che ancora non si è veramente manifestato. Quello che è certo è che, nonostante per un certo periodo si sia creduto questo, la cultura patriarcale non può essere rivoluzionata mantenendo la stessa visione patriarcale, sostituendo i 'padri' con altri 'padri'. Forse l'unica cosa 'cristiana' che sto per dire è la seguente: quella che sta per nascere è la cultura, lo stadio coscienziale, del Figlio. Con questo non intendo ancora una dipendenza da figure genitoriali, siano esse maschili o femminili, bensì lo sviluppo dell'individualità umana senza distinzioni di sesso, razza o altro. Intendo la liberazione del singolo individuo, della sua consapevolezza, nella piena indipendenza. C'è una parola sanscrita che, penso, possa indicare questo prossimo e, per me, auspicabile stadio di sviluppo dell'umanità: "Anupadaka", 'senza genitori'...

lunedì 12 dicembre 2005

Santa Lucia e le feste della luce.


Prima che al 13 dicembre la festività dedicata a Santa Lucia pare che fosse associata al 21 dicembre, forse più correttamente: si tratta infatti di una celebrazione della luce nel "giorno più corto che ci sia", cioè, appunto, durante il solstizio d'inverno. In quel momento il buio è totale, nel senso che le ore di oscurità raggiungono il loro massimo e quelle di luce il minimo. Nelle antiche culture ciò aveva un significato speciale, legato allo spirito e al rapporto dell'uomo con la terra, con il cielo, con i cicli stagionali. Nel momento più buio dell'anno si celebra la luce e questa ritorna. Su questi significati si innesta anche il Natale, che ha assorbito tradizioni e culti precedenti all'avvento del cristianesimo, basati sulla rinascita del Sole. Il 25 dicembre era anche il giorno della nascita di Mitra, eroe solare e divinità centrale della religione a lui dedicata, rivale di quella cristiana e poi da questa vinta e soppiantata: lo testimoniano le innumerevoli chiese e basiliche costruite sopra dei mitrei. Pare che perfino Osiride, altra divinità legata al Sole, fosse nato il 25 dicembre. Ciò che colpisce in tutta questa vicenda è il fatto che i padri della Chiesa seppero assorbire all'interno del nuovo culto riti, simbologie e usanze antichissime, riciclandole e trasformandole con attribuzioni cristiane, senza conservare però traccia della fonte 'pagana' di tali elementi. Anzi, perseguitando in vario modo, anche il più crudele, i 'pagani', cioè i veri detentori delle culture tradizionali.

venerdì 9 dicembre 2005

Religione e realtà storica.


Immaginiamo che Gesù Cristo non sia mai esistito: in effetti non ci sono ancora inoppugnabili documenti dell'epoca - né romani nè ebraici - sulla sua presenza a Gerusalemme, sul suo processo, sulla sua morte. Inoltre secondo alcuni studiosi neanche Nazareth, all'epoca, esisteva: si tratta di un insediamento di molto successivo alla presunta epoca di Gesù. Oppure, ancora, immaginiamo che non sia morto sulla croce: qualcuno ritiene addirittura che sia sopravvissuto a quell'esperienza e sia andato a vivere in Kashmir, dove c'è la sua tomba! Qualcun altro pensa che fosse sposato con una delle Marie, forse proprio la cosiddetta Maria di Magdala, e che dopo la sua morte la moglie incinta sia approdata in Francia, dove la figliolanza di Gesù diede inizio alla dinastia Merovingia. Sembrano fandonie, e forse lo sono anche, eppure alcuni ricercatori 'eterodossi' ritengono tutto ciò probabile e adducono a sostegno interessanti 'prove' e ragionamenti. In effetti i vangeli 'ortodossi' sono posteriori all'epoca del Cristo e, quindi, i loro racconti potrebbero essere inattendibili, modificati in tutto o in parte per avvalorare la nascente tesi religiosa. Tre dei vangeli sono 'sinottici', cioè raccontano più o meno la stessa storia (però le differenze ci sono, e alcune sono rilevanti); il vangelo di Giovanni invece è diverso e non cita eventi che sono importanti, fondamentali, per gli altri tre: la sua impostazione è molto più affine a quella dei vangeli apocrifi, particolarmente di indirizzo gnostico. Anche dando un certo credito al racconto dei vangeli, va tenuto presente che il cristianesimo è stato rielaborato da Paolo e che l'interpretazione della 'nuova religione' è stata data da lui, che vi ha introdotto concezioni del mondo greco, estranee all'ebraismo e - probabilmente - anche al messaggio del Cristo. Sembra che la chiesa primitiva, detta 'di Gerusalemme', quella fondata dai diretti discepoli di Gesù e capeggiata da Giacomo, un suo parente (fratello?), fosse totalmente ostile alla forma che la predicazione di Gesù stava prendendo presso i non-ebrei. Oggi si pensa che l'editto di Costantino sia un falso, e che l'imperatore - pur indicendo un concilio, quello di Nicea, a favore della nuova religione - l'abbia fatto per motivi esclusivamente politici: pare, infatti, che egli sia rimasto fino alla morte un 'pagano', devoto del 'Sol Invictus', cioè del Sole. Il concilio di Nicea, comunque, escluse molte interessanti interpretazioni e discussioni nell'ambito del cristianesimo considerandole come correnti eretiche. Qui mi fermo. Ho fatto solo una panoramica superficiale su alcuni dei dubbi che possono venire ad una attenta riflessione su certi assunti della fede cristiana o cattolica. Non ho la competenza per esaminarli in maniera seria e approfondita, ma penso che su questi argomenti - per noi che siamo nati e cresciuti nella cultura giudaico-cristiana occidentale - bisognerebbe veramente meditare. Mi chiedo, però, questo: tutto ciò cambia qualcosa dal punto di vista di ciò che Gesù Cristo ha rappresentato e rappresenta per milioni e milioni di uomini? Il cristianesimo ha prodotto violenze, errori. Però ha anche generato movimenti di tutto rispetto, grandi mistici, santi e saggi. Prendiamo ad esempio Francesco. Basò la sua intensa passione religiosa sul recupero delle 'verità' espresse nel vangelo. Se quest'ultimo fosse un falso storico, cambierebbe qualcosa per il fraticello di Assisi? Se il Cristo che lui aveva immaginato non fosse mai esistito o non fosse stato così come tramandato, dovremmo dire che Francesco si era sbagliato? Oppure comunque il santo aveva davvero trovato qualcosa oltre la verità storica, qualcosa... all'interno di sé stesso?

Jung e il "segreto del fiore d'oro".


















Carl Gustav Jung, il grande psicologo svizzero, nella sua introduzione a "Il segreto del fiore d'oro" di Richard Wilhelm (Boringhieri, pag. 15) scrive: "Un antico adepto diceva: "Se l'uomo sbagliato si serve di mezzi giusti, allora il mezzo giusto agisce in modo sbagliato." Questa massima cinese, disgraziatamente sin troppo vera, sta nel più stridente contrasto con la nostra cieca fiducia del 'giusto metodo' a prescindere da chi lo applica. In realtà in queste cose tutto dipende dall'uomo e poco o nulla dal metodo. Il metodo traccia solo la via e la direzione, mentre i modi del comportamento sono poi espressione fedele della propria natura. Quando questo non si verifica, il metodo si riduce allora ad una mera affettazione, a una nozione superflua e artificiale, priva di radici e insulsa, che serve al fine illegittimo di mascherarsi. Diventa un mezzo per ingannare sé stessi e per sfuggire alla legge forse spietata della propria natura." Jung fa queste considerazioni in un contesto in cui, mostrando da un lato un profondo rispetto per il testo di alchimia taoista tradotto dal Wlhelm, dall'altro precisa che secondo lui i sistemi elaborati dall'oriente e seguiti formalmente non sono adatti agli occidentali, i quali hanno problematiche ed esigenze differenti dai cinesi. Le tecniche di meditazione orientali, ad esempio, tenderebbero - secondo ciò che ho capito dell'opinione di Jung - a sviluppare metodo, disciplina, volontà, cose che noi occidentali moderni abbiamo invece bisogno di 'disimparare' o, quantomeno, di ridimensionare, essendo il nostro problema proprio il predominio dell'intellettualità conscia sulle spinte emotive e di altro genere che vengono dal profondo. Lui vuole dire, credo, che l'occidentale è l''uomo sbagliato' rispetto al 'mezzo giusto' cinese. Soprattutto, però, mi sembra che il punto essenziale sia che nessun metodo introspettivo o meditativo può condurre di per sé al risultato promesso se la persona che lo pratica non riesce a raggiungere davvero la sua interiorità, la profondità della sua natura. In questo senso, qualsiasi mezzo può essere giusto o sbagliato a seconda dell'atteggiamento di chi lo utilizza. Un metodo corretto può essere usato male o superficialmente (e la disciplina o l'autoritarismo con il quale viene proposto sono men che mai una garanzia); viceversa un metodo scorretto - se la persona è seria, se è intenzionata a mettersi realmente in discussione, a conoscere sé stessa, ad aprirsi alla vita - può invece rappresentare la chiave di volta per un successo. Non è la maschera che scegliamo di indossare, la particolare appartenenza ad una religione, ad un sistema, ad un credo, che fanno la differenza, bensì la nostra qualità di esseri umani.

I mistici, il vuoto e il pieno.


Credo di aver notato una cosa: i mistici appartenenti ad ogni religione (per mistico intendo non quello che concettualizza soltanto, bensì chi sperimenta, chi ha un'esperienza interiore), quando cercano di descrivere quello che hanno percepito nella profondità di sé stessi e della vita, utilizzano termini che - in un modo o nell'altro - sono sempre riconducibili all'idea di 'vuoto' oppure di 'pieno'. Mi spiego con un esempio, semplificando molto e sicuramente commettendo imprecisioni perché le differenziazioni non sono così nette come le prospetto, ma è solo per far capire ciò che intendo: nella mistica cristiana e non soltanto lì, la visione filosofica-religiosa prevalente, quella di base, sembra incentrata sull'insufficienza dell'uomo, sui limiti più o meno invalicabili della sua costituzione, sulla povertà e sulla vuotezza. Chi partendo da questa concezione ha un'esperienza del Divino, normalmente lo descrive come una Presenza, un 'Pieno', una 'Città Celeste', una Luce, un qualcosa o qualcuno in grado di 'colmare' o compensare la sua sensazione di mancanza e di esilio. Esempio opposto: in Cina, in un certo periodo storico, la visione prevalente dell'uomo e del suo mondo era quella di un Cosmo perfettamente regolato, dove ogni cosa aveva il suo posto e tutti partecipavano della 'divinità' del Cielo e della Terra. L'etica era raffinata e complessa, la costruzione sociale molto elaborata, degna di una società e di una cultura millenarie. Ebbene, i mistici di quel periodo diedero vita ad una corrente religiosa, il taoismo, basata sull'annullamento di ogni concettualizzazione, sul 'vuoto' della mente e del pensiero verbale, sull'eremitaggio e l'isolamento da una società avvertita come eccessivamente ordinata e moralista. I primi taoisti costruirono un'etica del 'disordine', della spontaneità, della naturalezza, del disimpegno sociale, dell'oscurità salvifica, della negazione liberatoria. Forse tutto ciò ha una spiegazione: il Divino rappresenta ciò che ci trascende e - al contempo - ci completa. Per questo motivo, scavando nelle profondità di sé stesso, il ricercatore interiore scopre una sorgente che lo vivifica fornendo una compensazione al suo atteggiamento razionale, costringendolo quasi a fare esperienza di ciò che la sua mente intellettiva aveva accantonato. Il buddhismo, in questo, mi sembra molto saggio: con la sua 'Via di Mezzo', con il frequente uso di paradossi in cui vengono identificate realtà apparentemente contrarie, mi sembra tenda a non fornire una definizione unilaterale del Divino, della Legge o, comunque, non una definizione che fondi su termini contrapposti. Anzi, poiché la nostra esperienza di esseri umani è duale, il buddhismo tende a prospettare una Realtà non dualistica, ma unificante tutte le opposizioni polari. Un'ultima osservazione, forse un pò bizzarra, frutto delle mie fantasticherie interpretative: Dio, la Legge Mistica, è effettivamente un Vuoto dal punto di vista del pensiero, di cui rappresenta il limite, la pacificazione e il trascendimento. E' un Pieno, invece, per il sentimento, per il desiderio profondo, per l'emozione.

mercoledì 7 dicembre 2005

Immacolata Concezione


C'è un errore abbastanza diffuso: quello di credere che la festività dell'Immacolata Concezione e anche il relativo dogma proclamato per la prima volta da Pio IX nel 1854 riguardino il concepimento immacolato di Gesù. Non è così: il dogma si riferisce al fatto che Maria stessa è immacolata dal momento del suo concepimento, nel ventre di sua madre Sant'Anna, e rimarrà libera per tutta la vita dal peccato. Ciò per una particolare grazia concessale da Dio, che aveva già predestinato la Madonna come madre di suo Figlio e, quindi, doveva essere un Vaso totalmente puro. Viene da chiedersi se Maria sia stata anche dotata di libero arbitrio, cioè della possibilità di scegliere tra bene e male, perché se resa Immacolata da Dio per svolgere la sua particolare funzione - senza peccato in eterno - allora sembra logicamente che non abbia avuto la scelta di poter fare il male. In questo caso, però, ci si chiede perché Dio non abbia creato così anche tutte le altre creature, così da non rendere necessario il ricorso all'opera di redenzione, al sacrificio di Gesù, eccetera. Oppure, se il libero arbitrio fra bene e male è importante per la maturità dell'individuo, cosa dobbiamo pensare riguardo a Maria che non l'ha avuto? E se ha avuto questa facoltà di scelta, come si concilia con il fatto che è stata concepita a priori senza macchia da sempre e per sempre? Mistero. Secondo me tutto ciò potrebbe agevolmente risolversi ricorrendo al simbolo, alla metafora, all'allegoria: se Maria come Immacolata fosse semplicemente il simbolo della coscienza, dell'anima, di una qualche facoltà interiore dell'uomo che rimane - nonostante le esperienze e il rapporto con il male, ecc. - pura, chiara, luminosa, non sarebbe tutto ciò più comprensibile? Un pò come nella Pietà di Michelangelo, dove Maria è simbolicamente eternamente giovane, nonostante il dolore, nonostante la morte. A me piace di più così: pensare che la Madre Archetipica, come Natura, come Vita, come Coscienza alla base della manifestazione universale, non sia giammai macchiata dalle limitazioni che, comunque, fanno parte dell'esistenza così come la sperimentiamo e del suo significato.

Sull'orlo del Limbo...


La parola 'Limbo' deriva dal latino, con il significato di 'lembo, bordo, orlo, margine'. Per la teologìa cattolica di un tempo si indicava con questa parola la marginale regione post-mortem in cui andavano a stare in eterno le anime di tutti coloro che non erano stati battezzati e, quindi, non erano stati salvati dal peccato originale commesso da Adamo ed Eva. Una regione eternamente lontana dal contatto diretto con Dio, dove si può anche provare gioia, ma non la beatitudine dello spirito. Quindi - come attestato anche da Dante Alighieri nella Commedia - accoglie tutti i filosofi dell'antichità prima di Cristo, e anche tutti coloro che, pur non essendo grandi uomini o filosofi, non essendosi macchiati di peccati ma avendo condotto una vita retta (vissuti o viventi in tutte le epoche, anche quella odierna), tuttavia non sono liberi dalla suddetta macchia originaria. Credo che il battesimo in età infantile, deciso dai genitori e non come all'epoca di Gesù dall'individuo stesso, abbia proprio avuto soprattutto la funzione 'preventiva' di salvare da quella condizione spiacevole l'anima di quei bambini che - prima dell'età della ragione - fossero trapassati prima di poter accedere al sacramento. Certo, una volta la mortalità infantile era molto alta e, quindi, poteva essere necessaria questa sorta di 'vaccinazione' spirituale... Da queste concezioni deriva anche la resistenza della Chiesa - risalente più o meno al XIX secolo - ad accettare la pratica del parto con taglio cesareo: il rischio per il nascituro poteva essere quello di perire ancor prima di poter accedere al rito sacro. Oggi, però, a partire da alcuni pronunciamenti di Giovanni Paolo II per arrivare alle probabili future asserzioni ufficiali di Benedetto XVI, i teologi non ritengono di accreditare più l'ipotesi dell'esistenza del Limbo, preferendo affidare genericamente alla Misericordia di Dio il destino di quelle anime macchiate soltanto dalla genetica colpa dei progenitori: come dire che non si sa cosa sarà di loro, ma si spera bene, perché Dio è buono. Per lo stesso motivo, dico io, spero che potranno salvarsi le anime dei possibili abitanti di altre regioni dell'universo, di altri pianeti, perché non è ancora chiaro se il peccato di Adamo ed Eva riguardi anche loro, oppure se anche loro abbiano avuto l'incarnazione del figlio di Dio a redimerli: finora sembra di no, anche perché altrimenti Gesù verrebbe ad assomigliare ad una divinità induista con molteplici incarnazioni atte a salvare ovunque gli esseri viventi dall'ignoranza e dal peccato. Dubbio è anche il destino post-mortem degli animali - domestici e non - che Noè si premurò di salvare sull'Arca e che, però, pare che non abbiano un'anima. Cioè, hanno una mente rudimentale, dei sentimenti, delle emozioni, delle sensazioni, però sono come degli automatismi, qualcosa creato - tutt'al più - ad uso e beneficio dell'uomo, che è l'unica creatura che possa realmente definirsi vivente, cioè pienamente dotata di corpo e anima, completa. In qualche caso, con rituali particolari, gli animali vengono benedetti dal prete, forse per sottolineare che Dio nella sua misericordia infinita vuol bene anche a loro che sono soltanto corpo, natura, e non spirito. Oppure per rendere maggiormente proficuo e positivo il loro utilizzo da parte dell'uomo: come benedire un campo perché produca più raccolto, oppure un'automobile appena acquistata perché non faccia incidenti. Mi chiedo perché la Chiesa non abbia mai pensato di battezzare gli embrioni nel ventre materno per le stesse preventive motivazioni anzidette: essendo l'embrione già un individuo a tutti gli effetti, ciò non risolverebbe molte difficoltà? Certo, nascerebbe il problema se si possano o meno battezzare quelli in provetta, ma si sa: ogni problema, prima o poi, è risolvibile. Proprio come quello del Limbo...

lunedì 5 dicembre 2005

Relativismo e Nichilismo.


E' da un pò che certe autorità religiose - vedi Ratzinger - tuonano contro un fenomeno detto 'relativismo'. Se capisco bene si vuole intendere che, poiché la coscienza dell'uomo attuale mette in dubbio i dettami morali e religiosi tradizionali e non li segue più, da ciò origina il vuoto di valori cui assistiamo nel nostro mondo. A questo giudizio se ne accompagnano altri in sintonia con i precedenti, proferiti da quelle o da altre 'autorità', o anche da liberi pensatori, che si indignano contro il cosiddetto 'nichilismo' dei nostri tempi: poiché l'uomo, si dice in sostanza, dalla Rivoluzione Francese - o dall'Illuminismo - in poi ha cominciato a pensare criticamente, magari sbeffeggiando e distruggendo quanto fino ad allora era ritenuto sacro e inviolabile, ora è rimasto senza ideali, senza Dio, è solo con il 'nulla' creato dalla sua ragione. Il Relativismo e il Nichilismo, insomma, sono le madri di tutti i mali... Pur condividendo in parte l'opinione sul vuoto di valore dei nostri tempi - intendendo per 'valore' quello interiore, ideale e spirituale - oggi colmato dalla sola ricerca di valore nel senso economico e commerciale, vorrei esprimere questo: secondo me, se l'uomo è davvero caduto nel relativismo, è perché i valori religiosi su cui in precedenza faceva affidamento erano relativi; se si è arrivati al nichilismo, ciò è dovuto al fatto che l'idea del divino concepita in passato era totalmente nulla, una negazione della fede e della coscienza. Trovo pertanto assurdo che si invochi il ritorno a valori logori per poter riempire quel vuoto interiore cui ci si riferisce. Può esistere una religione o una religiosità profonda, che non dipende da fedi particolari, da autorità paternalistiche, da potentati ecclesiali o filosofici? Scoprendo ognuno in sé stesso l'insopprimibile ricerca della verità, del mistero della vita e della morte, quella fede genuina di cui ogni uomo è 'portatore sano', quella virtù che nasce dall'intelligenza e non dalla sottomissione, forse solo allora si potrà essere finalmente affrancati da religioni che - quelle sì - relativizzano l'individuo a favore del 'gregge' e nichilizzano la sua coscienza.