venerdì 9 dicembre 2005

Jung e il "segreto del fiore d'oro".


















Carl Gustav Jung, il grande psicologo svizzero, nella sua introduzione a "Il segreto del fiore d'oro" di Richard Wilhelm (Boringhieri, pag. 15) scrive: "Un antico adepto diceva: "Se l'uomo sbagliato si serve di mezzi giusti, allora il mezzo giusto agisce in modo sbagliato." Questa massima cinese, disgraziatamente sin troppo vera, sta nel più stridente contrasto con la nostra cieca fiducia del 'giusto metodo' a prescindere da chi lo applica. In realtà in queste cose tutto dipende dall'uomo e poco o nulla dal metodo. Il metodo traccia solo la via e la direzione, mentre i modi del comportamento sono poi espressione fedele della propria natura. Quando questo non si verifica, il metodo si riduce allora ad una mera affettazione, a una nozione superflua e artificiale, priva di radici e insulsa, che serve al fine illegittimo di mascherarsi. Diventa un mezzo per ingannare sé stessi e per sfuggire alla legge forse spietata della propria natura." Jung fa queste considerazioni in un contesto in cui, mostrando da un lato un profondo rispetto per il testo di alchimia taoista tradotto dal Wlhelm, dall'altro precisa che secondo lui i sistemi elaborati dall'oriente e seguiti formalmente non sono adatti agli occidentali, i quali hanno problematiche ed esigenze differenti dai cinesi. Le tecniche di meditazione orientali, ad esempio, tenderebbero - secondo ciò che ho capito dell'opinione di Jung - a sviluppare metodo, disciplina, volontà, cose che noi occidentali moderni abbiamo invece bisogno di 'disimparare' o, quantomeno, di ridimensionare, essendo il nostro problema proprio il predominio dell'intellettualità conscia sulle spinte emotive e di altro genere che vengono dal profondo. Lui vuole dire, credo, che l'occidentale è l''uomo sbagliato' rispetto al 'mezzo giusto' cinese. Soprattutto, però, mi sembra che il punto essenziale sia che nessun metodo introspettivo o meditativo può condurre di per sé al risultato promesso se la persona che lo pratica non riesce a raggiungere davvero la sua interiorità, la profondità della sua natura. In questo senso, qualsiasi mezzo può essere giusto o sbagliato a seconda dell'atteggiamento di chi lo utilizza. Un metodo corretto può essere usato male o superficialmente (e la disciplina o l'autoritarismo con il quale viene proposto sono men che mai una garanzia); viceversa un metodo scorretto - se la persona è seria, se è intenzionata a mettersi realmente in discussione, a conoscere sé stessa, ad aprirsi alla vita - può invece rappresentare la chiave di volta per un successo. Non è la maschera che scegliamo di indossare, la particolare appartenenza ad una religione, ad un sistema, ad un credo, che fanno la differenza, bensì la nostra qualità di esseri umani.

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