mercoledì 29 novembre 2006

Famiglia, Poleis e nuovi valori.


Dopo la lettura dei lavori presentati sabato scorso al CIS (un gruppo con il quale collaboriamo su temi di ricerca "esoterica" o interiore) sulla “famiglia” come base della società, le osservazioni sulla crisi di valori nel mondo attuale e dopo il relativo dibattito, io e Paola abbiamo continuato a parlarne fra di noi, facendo ulteriori considerazioni in merito. Il tema non è semplice: è dotato di una sua intrinseca complessità e ogni valutazione dipende dalle convinzioni individuali sulla vita, sulla morale e sulla società, dunque non è neppure facile scriverne in poche righe sintetiche, efficaci e non offensive rispetto alle sensibilità diverse. Il presente elaborato - che risponde alla richiesta dei conduttori del CIS di produrne uno e che voglio riproporre su questo mio Blog - è il tentativo di esporre il senso delle nostre comuni riflessioni sull’argomento, risultanti dal dialogo e da una interazione di tipo familiare - proprio per essere in linea con il tema! In tal modo possiamo già mettere in luce uno dei significati che attribuiamo all’idea di famiglia: quello del completamento reciproco attraverso le differenze individuali, in vista di un unico obiettivo o con una visione unitaria. La famiglia è analoga alla Poleis, alla società in genere e ad una qualsiasi forma di collaborazione basata sulla coesione, sul rispetto, sulla condivisione. Allo stesso modo è analoga alla configurazione interna di un singolo individuo, sia dal punto di vista fisiologico – l’insieme organico, sia per quanto riguarda gli altri piani: psichico, mentale e spirituale, esprimendo anche la coordinazione fra di loro. Sottolineiamo l’importanza di due concetti che, a nostro avviso, informano in pari grado l’idea di famiglia e di società in esame: quelli della complessità e dell’unità. Come esemplificazione simbolica di ciò facciamo riferimento alla straordinaria rivoluzione rappresentata nello sviluppo biologico delle forme viventi dagli organismi pluricellulari: attraverso la specializzazione e la differenziazione delle cellule, cioè per mezzo della bio-diversità integrata in un unico insieme organico, la vita ha prodotto funzionalità e interazioni sempre più complesse e atte a riprodurre anche nei piccoli insiemi la meravigliosa molteplicità di quelli più grandi: i sistemi solari, le galassie, gli universi. Osando ancora di più e facendo riferimento all’indagine filosofica e al sentimento religioso, possiamo considerare l’Esistente stesso come costituito dai due fattori dell’unità onnicomprensiva e della molteplice e infinita diversità dei fenomeni. Riflettendo su queste cose ci siamo convinti che dal punto di vista sociale, culturale e spirituale l’umanità sta vivendo una rivoluzione analoga a quella anzidetta, dalla monocellula - cui possiamo paragonare le culture pregresse nella storia a noi conosciuta - all’organismo pluricellulare: la nuova società procede verso l’apertura, la comunicazione totale, l’assimilazione e valorizzazione della complessità e della diversità. La globalizzazione, che nell’attuale presenta moltissimi aspetti negativi in relazione alla crescente uniformità e appiattimento delle realtà nazionali e locali, relativi anche allo sfruttamento massivo di certe aree del mondo a beneficio di altre, ha in sé la potenzialità positiva della comunicazione, del dialogo, dello scambio a tutti i livelli: nessuno potrà più dire di non sapere, di non avere la responsabilità. Il processo attuale di evoluzione delle coscienze, a noi sembra, procede nella direzione dello sviluppo del valore di ogni singolo individuo, di ogni singolo componente di questo mondo, che non delegherà più ad una qualche norma morale o religiosa o sociale imposta dall’esterno e dall’alto o ad una qualche autorità la responsabilità verso la propria vita, quella degli altri e verso l’ambiente. Siamo grati per la libertà di cui già oggi è possibile usufruire, una libertà limitata ma comunque esistente, che ci permette anche di far parte di gruppi di ricerca interiore come quello del CIS che, in altre epoche, non sarebbero stati tollerati dalla cultura dominante. Una libertà che ci permette di strutturare la nostra famiglia non in base a ruoli precostituiti da altri, ma in base alle nostre scelte consapevoli. Questa è la direzione di sviluppo che già intravediamo e auspichiamo per il futuro dell’umanità, pur non negando gli attuali terribili problemi mondiali cui ancora non s’è trovata soluzione, anzi. Dal rovescio del tappeto si vedono soltanto gli intrichi, spesso incomprensibili e apparentemente senza scopo, dei fili: è solo sul davanti, sul diritto del tappeto, che è possibile ammirare il meraviglioso disegno che presenta; così crediamo con profonda convinzione che esista uno scopo superiore, un disegno nascosto e reintegrativo anche per ciò che ora risulta doloroso o inaccettabile. A nostro parere la situazione mondiale attuale si trova, facendo un parallelo metaforico con gli stadi della crescita nell’età evolutiva dell’uomo, nella fase adolescenziale: quando si verifica quel difficile passaggio dall’infanzia all’età adulta, nel quale le certezze crollano e i nuovi valori non sono ancora ben conosciuti e compresi. In quel momento, proprio per poter crescere come individui autonomi, ci si trova a liberarsi dagli ideali precedenti, quelli dei genitori, attraverso una più o meno dura contrapposizione o confronto con essi, per trovarne di propri o per digerire e rielaborare a proprio modo quelli vecchi. E’ un momento in cui si possono fare errori, certamente, ma è necessario imparare a fare da soli: quanto di positivo si era assimilato nell’infanzia può essere senz’altro di guida nella successiva formazione, ma guai se diventa condizionante al punto da impedire il cammino e da produrre chiusure invece che aperture – così importanti per l’accoglimento del nuovo. Riteniamo questo principio valido per qualsiasi percorso di maturazione e nei riguardi di qualsiasi autorità la quale, se è davvero tale, deve sostenere, educare ed orientare fino ad un certo grado, ma non paternalisticamete sostituirsi in tutto alla coscienza dei singoli. Se lo sviluppo mondiale sta davvero andando nella direzione da noi intravista e auspicata, nessuna cultura chiusa e arroccata su vecchi valori, per quanto coesa e determinata, potrà alla lunga resistere alla forza liberatrice consistente nell’accoglimento delle differenze e nel riconoscimento del loro valore in vista di una unità superiore – quest’ultima non più monolitica e monoculturale, ma complessa, pluriorientata, e con quel grande obiettivo che ne include in sé moltissimi altri: la pace.

venerdì 17 novembre 2006

Week end.


Augurando un buon fine settimana oggi mi sono reso conto di una cosa. Ovvia, si potrà dire, però a volte uno conosce certe cose, ma non le nota, come se non arrivassero veramente alla coscienza e alla consapevolezza: il guardare senza vedere, dal quale si potrebbero trarre utili osservazioni sul significato del Risveglio e dell'Illuminazione. Per tornare a ciò che ho notato augurando buon fine settimana: mi sono reso conto di quanto la concezione filosofico-religiosa informi tutti i nostri comportamenti, anche i più banali, anche quelli che sembrano i più lontani da quel tipo di ideologia. Ogni cultura ha i suoi presupposti e, nella nostra, il fatto stesso che ci sia un week-end deriva dritto dritto dalla Bibbia, dove Dio ha il suo riposo settimanale! Che poi esso sia la domenica, il sabato o il venerdì, il concetto non cambia. E, probabilmente, l'idea della settimana, del riposo periodico, del ritmo settenario, ha radici ancora più antiche di quelle ebraiche: caldee, babilonesi, e via e via. In effetti, a ben riflettere, tutte le nostre azioni, la nostra cultura, le consuetudini, i comportamenti, nascono da una visione del mondo, cioè da una concezione filosofica di base che, comunque, non necessariamente deriva da una elaborazione individuale. Può essere anche la passiva accettazione di una visione collettiva, sociale, familiare, che - anche se inconsapevole - condiziona la nostra vita, le nostre opinioni. Non dico che tutto ciò sia sbagliato, è che non sempre ci rendiamo conto che la presunta oggettività delle cose dipende dal punto di vista dal quale le si guarda. Per esempio la scienza, la ricerca scientifica, cui oggi si da il massimo di credibilità al punto da non mettere praticamente mai in discussione i suoi enunciati, si fonda su una certa visione del mondo - materialista, meccanicista, eccetera. Eppure il Big Bang, per continuare nell'esempio, prima che scientifico è un assunto filosofico: se non altro perché si va cercando una creazione, un punto iniziale dell'Universo. C'è veramente? Quanto la nostra mente e la nostra esperienza sulla vita condizionano perfino la domanda che poniamo alla ricerca scientifica? Di certo l'argomento meriterebbe ulteriori approfondimenti. Però... siamo al fine settimana. Meglio riposarsi!

mercoledì 8 novembre 2006

Trick or treat.


Voglio qui prescindere dall'approfondimento sulle origini della festa di Halloween, e anche sul suo supposto essere meno valida per noi italiani perché "importata" (la cultura di tutti i paesi è infarcita di importazioni, di elaborazioni, di scambi con altre tradizioni); neppure voglio argomentare sull'opinione che sia un evento artificioso ed esclusivamente "commerciale" (cosa oggi non lo è?). Vorrei però far notare che questa festività si unisce a quella cristiana di Ognissanti: anzi, è stata certamente rielaborata dal cristianesimo - com'è avvenuto in moltissimi altri casi - e reinterpretata nel suo calendario, mentre la celebrazione di partenza è certamente molto più antica e in relazione con il ciclo stagionale. Nel periodo autunnale, infatti, la natura cala - per così dire - nel buio e nel freddo: le ore di luce si riducono sempre di più, il brutto tempo e il freddo si fanno vieppiù incalzanti. Il simbolismo correlato, naturalmente, è quello della morte, del disfacimento della vita fisica e della sua manifestazione. La morte è un evento misterioso, sul quale l'uomo si è sempre posto domande, sul quale ha trovato risposte anche di elevatissimo ordine filosofico e spirituale. Nelle culture agricole, probabilmente, veniva sottolineata la necessità di affrontare nel miglior modo possibile la fase oscura dell'anno solare e la disgregazione dell'energia della terra, esorcizzandone gli aspetti inquietanti e incoraggiando a preparare e attendere un rinnovamento che, certo, sarebbe venuto. Il periodo di ottobre-novembre, allora, la festa di Ognissanti e dei Morti, rappresentano una Porta stagionale e simbolica, un'apertura dimensionale attraverso la quale si entra in contatto con l'Oltre, con la Tomba, con il Mistero. Per questo possiamo vedere le tradizionali rappresentazioni di spiriti, streghe, folletti, di zucche come terrifici teschi contenenti luci fatue e inquietanti. In questo modo possiamo entrare in contatto con l'Altrove, con il Buio, rendendocelo simpatico, familiare, divertente, provando un brivido piacevole anche per la paura che ci suscita. La locuzione tradizionale per i paesi anglosassoni "trick or treat (scherzetto o dolcetto)" pronunciata dai bambini mascherati da zombi o simili, è eloquente: sicuramente ripropone antichi rituali nei quali si offriva cibo agli spiriti dei morti per placarli, per renderseli amici, per attraversare la Soglia Annuale dell'Altrove con fiducia. Il punto centrale di tutto ciò è il desiderio di blandire i morti con doni e offerte, che nelle varie tradizioni molto spesso sono in forma di cibo. La nostra oblazione di fiori nei cimiteri potrebbe essere il residuo di un primordiale dono di frutta, fiori, cereali, acqua e altro, come se i defunti dovessero e potessero essere alimentati. Freud osservò che rispetto ai trapassati l'uomo ha un senso di colpa insopprimibile che cerca di esorcizzare e tenere sotto controllo: sentimento colpevole generato forse dal fatto stesso di essere vivi, perché invece altri sono morti al nostro posto - una sorta di inconscio "mors tua vita mea" di tutti gli esseri viventi. In effetti vivere significa anche affermare la propria esistenza a dispetto di quella degli altri: vivendo si uccide, lo si fa continuamente, respirando, muovendosi, reagendo alle malattie e ai fattori avversi rappresentati da altri organismi biologici e, soprattutto, alimentandosi. Da ciò verrebbe l'idea che ai morti manchi soprattutto il cibo, proprio in quanto affermazione positiva su altri esseri - quelli dei quali ci si ciba. I defunti, dunque, sarebbero spiriti affamati. Affamati, in sostanza, di vita. Ecco perché fornendo loro del cibo vogliamo appagarli, dare loro l'essenziale, quello di cui hanno bisogno. Da qui anche la rappresentazione mitica dei vampiri, anch'essi spiriti, zombi, affamati di sangue, cioè ancora una volta di vita. Quanto finora affermato, tuttavia, descrive soltanto un aspetto della questione del rapporto vivi-morti, quello forse più primitivo, viscerale, quello meno evoluto e cosciente. Esistono altre concezioni più consapevoli e filosoficamente più interessanti e, forse, più vicine alla realtà delle cose. Secondo le dottrine orientali, particolarmente quelle buddhiste (e sappiamo quanto il buddhismo si sia interessato della morte e dello stato-intermedio fra il trapasso e la successiva rinascita), il punto essenziale dello stato post-mortem è che in esso non è possibile una crescita evolutiva, che invece può avvenire durante l'esistenza manifesta. L'idea è che facendo esperienze, incontrandosi e scontrandosi con eventi esterni all'io, la coscienza viene messa alla prova, viene spinta a mutare, a evolvere. Dopo la morte, invece, non essendoci questo incontro-scontro con la dimensione fisica-esteriore, è possibile soltanto la rielaborazione delle esperienze occorse durante la cosiddetta "vita": rielaborazione che, però, può essere più o meno efficace, più o meno risolutiva ai fini della chiarezza raggiunta, della comprensione di quanto è accaduto nel corso della vita e del suo significato per la successiva evoluzione individuale. Il discorso è certamente lungo e complesso, ma possiamo trarre una conclusione: il significato più profondo dell'offerta ai defunti è quello simbolico connesso con il nutrimento; come se, donando il cibo, si auspicasse per loro l'acquisizione completa del nutrimento coscienziale contenuto nelle esperienze avute. Esiste anche un possibile contesto interpretativo tutto individuale: i defunti rappresentano le nostre esperienze concluse, le parti di noi che sono morte, che sono mutate, che sono - per così dire - calate o tornate nell'inconscio. Se, però, in esse c'è qualcosa di irrisolto, dei contenuti repressi o rimossi, possono per compensazione avere bisogno di attenzione, averne fame, richiederla con insistenza. Questo tipo di domande da parte dell'incoscio, se inascoltate, possono diventare pericolose - in proporzione diretta con il grado di rimozione e di oblio con i quali si vuole relegarle lontano dalla coscienza. Sono pericolose perché possono vendicarsi, cioè portare a degli squilibri della personalità interferendo con la vita cosciente, ottenebrandola. Nel significato individuale, dunque, offrire cibo ai morti significa regalare attenzione alle parti di noi irrisolte, essenzialmente perché non rese consapevoli nel senso alto, anche spirituale, del termine...

lunedì 6 novembre 2006

Scrivere sul blog.


Questa è una riflessione personale sull'esperienza di scrivere in un Blog. Altri, è ovvio, potrebbero fare considerazioni differenti o di tutt'altro genere... Quando ho iniziato - e sono abbastanza sorpreso di constatare come sia già passato un anno! - mi intrigava la possibilità di poter scrivere come in un diario pensieri, sensazioni e riflessioni sugli argomenti di mia scelta, ma non ero del tutto consapevole del fatto che i miei appunti potevano essere letti da altri! Cioè: lo sapevo, naturalmente, però non mi rendevo conto fino a che punto il Blog potesse essere uno strumento di condivisione, di comunicazione con altre persone. In piccola o grande misura lo è. Talvolta, da questo punto di vista, è sorprendente, inatteso. Uno degli aspetti positivi di questo tipo di scrittura e di occupazione è stato per me quello di poter strutturare - anche con miei Blog paralleli su specifici argomenti - una configurazione che ha chiarito a me stesso la costellazione dei miei campi di interesse, che mi ha regalato una visione d'insieme e, dunque, mi ha fornito spunti di autoconoscenza e di crescita. Però ho notato questo: finché le mie riflessioni erano, diciamo così, "per me stesso", scrivere era un fatto liberatorio e soprattutto facile, scorrevole. Poiché, invece, progressivamente sono diventato sempre più percettivamente cosciente della presenza di "lettori", devo confessare che la spontaneità - come forse sempre succede - è venuta a ridursi, e anche il divertimento. Sono subentrate preoccupazioni di coerenza, di opportunità e altro. Alla fine (naturalmente senza nessuna responsabilità da parte di chi mi legge!) mi sono bloccato: è un bel pò che non scrivo più, essenzialmente perché non mi diverto più, perché ogni argomento che vorrei affrontare liberamente viene frenato da remore e considerazioni varie. In breve è entrato in azione il classico Super-io psicanalitico, il censore interno. Ebbene, quello di questo momento è un atto di ribellione: basta con le considerazioni di opportunità! Voglio ricominciare a scrivere in maniera rilassata, senza preoccupazioni, per conoscere me stesso, per condividere con chi ha la bontà di leggermi - e che saprà scusarmi se esco fuori dalle righe, se eccedo in qualcosa, se rischio l'offesa verso qualcuno. Forse, e per me lo è, questa è la funzione principale di un Blog: la naturalezza delle riflessioni, la serenità e la gioia della eventuale comunicazione dei propri pensieri, la disponibilità ad esprimersi e anche ad ascoltare l'eventuale replica, per imparare. Inoltre, credo, quanto più si esprime sé stessi in maniera veritiera, tanto più si è in grado di dare e anche di apprendere dagli altri - questo in virtù della sorgente di umanità che ci accomuna, dell'unità fondamentale che esiste fra le persone. Bene, riparto. Grazie a tutti!