venerdì 31 marzo 2006

Difficoltà.


Ci sono dei periodi della vita individuale (e anche collettiva!) nei quali le difficoltà si ammassano moltiplicandosi senza lasciare apparente via di scampo. Come se la nave affondasse e ogni falla faticosamente riparata fosse immediatamente soppiantata da un'altra. Personalmente attraverso proprio un momento così. Poiché penso che le cose abbiano un senso e che nulla accada per caso (so che è indimostrabile, ma lo è anche il contrario), mi chiedo quale sia il significato generale - prescindendo dalle situazioni particolari - dell'incontrare ostacoli. Dal punto di vista della psicologia del profondo credo che ogni difficoltà possa essere posta in relazione simbolica ed energetica con quella prima grande crisi che ogni individuo incontra al momento della nascita: come per l'attraversamento di un tunnel oscuro, soffocante, dove la liberazione sta alla fine del processo ed è anch'essa dolorosa per l'improvviso passaggio dall'elemento liquido - oscuro e interno - a quello luminoso, aereo, esterno. In questo, almeno stando ai racconti dei "morenti" (N.D.E. - Near Death Experience), la nascita è molto simile alla morte: un passaggio, un guado difficile e doloroso. Il significato di tutto ciò è la trasformazione, l'uscita da un ambiente consolidato per entrare in una situazione nuova, diversa, che implica una visione più ampia della precedente. Credo sinceramente che nei periodi anzidetti, quando non si intravvede la soluzione, è importante considerare che l'uscita c'è, e che il processo che affrontiamo è indispensabile all'evoluzione: davanti c'è una nuova luce, una visione rinnovata. Certo, riuscire a percepire nel momento del dolore che la propria esperienza possa avere questo senso, implica la fede. Badate bene: parlo di fede, e non di credenza in una qualche forma di strereotipata o dogmatica spiegazione della vita. Parlo di qualcosa di sentito e fondamentale, analogo a quello che porta il neonato a spingere, a cercare l'uscita dal ventre, senza sapere della sua esitenza, semmai sentendola, intuendola profondamente. E' questa forza evolutiva, questa spinta, che conduce verso il nuovo mondo, verso la trasmutazione, come un vascello inaffondabile, come una nave senza falle, che procede verso la sua rotta qualunque cosa accada. Una rotta sconosciuta, ma tracciata con luminosa chiarezza nella profondità dell'essere.

martedì 21 marzo 2006

Simbolismo antropologico ed elettorale.


Avete notato che il nostro centro-sinistra adotta simboli che fanno tutti riferimento alla Terra, all'agricoltura, all'antropologia dei popoli sedentari che basavano la loro vita sul lavoro dei campi, gli animali da lavoro, i frutti della terra e i ritmi del calendario solare? Così abbiamo, oltre ai consueti Falce e Martello, la Quercia, l'Ulivo, la Margherita, l'Asinello, il Sole che Ride, eccetera. A sinistra (lato tradizionalmente femminile) troviamo anche il movimento delle donne e la tendenza pacifista, come i riferimenti analogici al Mezzogiorno (Sud, sole, terra). Il centro-destra, invece, pare relazionarsi alle abitudini e ai simboli archetipici dei popoli nomadi: il Polo (la stella polare come principale fattore di orientamento), il Cielo, l'Azzurro, le Bandiere (vessilli, vento), la Metallurgia (Lega), il Nord, la cultura maschile (destra=lato per noi muscolarmente più "forte"), le posizioni più in sintonia con la guerra... A proposito delle suddivisioni antropologiche e simboliche e' possibile trovare una interessante trattazione sui popoli nomadi e sedentari in J.J. Lavier, medico e divulgatore della Medicina Tradizionale Cinese e delle sue basi filosofiche, di cui alcuni ricorderanno "Storia, dottrina e pratica dell'agopuntura cinese" - Ed. Mediterranee. Lui ha fatto uno studio sulle abitudini primordiali dell'umanità secondo una divisione fra nomadi e sedentari sicuramente - anche a suo parere - non più attuale (perché oggi ognuno di noi è un misto delle due tipologie antropologiche), ma per certi versi illuminante. Riassumo brevemente: i sedentari erano stanziali, legati alla Terra, le loro case erano quadrate (il quadrato è un simbolo terreste: i punti cardinali, gli elementi, eccetera), erano prevalentemente vegetariani (prodotti della terra), le loro arti erano la pittura e la scultura (dove non è presente l'elemento temporale che si riferisce al Cielo, bensì quello spaziale in relazione con la Terra), per orientarsi si volgevano a Sud perché, essendo agricoltori, avevano come punto di riferimento 'esterno' il loro opposto: il Sole (fuoco, Cielo), che è anche immagine del divino; per questo tendevano al monoteismo e vivevano prevalentemente di giorno. I nomadi erano sempre in movimento, senza radici 'terrestri', le loro abitazioni erano tende rotonde come le raffigurazioni simboliche del Cielo (il cerchio), erano prevalentemente carnivori (prodotti animali, meno in relazione con la terra dei vegetali), le loro arti erano il canto e la danza (dove è presente l'elemento temporale-celeste più che quello spaziale-terrestre), facevano riferimento al Cielo e particolarmente - per orientarsi - si volgevano a Nord dove c'è la Stella Polare e vivevano maggiormente di notte. Per gli stessi motivi, cioè a causa dello sguardo incentrato sulle stelle, tendevano al politeismo religioso. Forse gli schieramenti politici potrebbero rappresentare - ora che l'umanità non è più nettamente classificabile fra nomadi e stanziali - le tracce di nuove costituende tipologie antropologiche! In effetti oggi l'uomo sembra proprio dividersi fra una 'destra' e una 'sinistra' che, però, come visto, lasciano emergere - forse inconsapevolmente - antiche simbologie nelle loro strategie elettorali! Naturalmente tutto quanto affermato in questo post è uno scherzo, un mio divertimento. Ma... chissà!

giovedì 9 marzo 2006

Pubblicità.


In sé il concetto non conterrebbe nulla di spiacevole: pubblicità come rendere pubblico, anche pubblicare. Si tratterebbe dunque di condivisione, di uscire dall'ambito privato e individuale per entrare in quello collettivo e sociale. Tuttavia, almeno per me, la pubblicità ha dei retrogusti non troppo gradevoli, e sa più di scocciatura, sopraffazione, perfino - sempre di più - un sentore di truffa, di furto, se non altro di tempo e attenzione. Eppure le nostre moderne società non possono più farne a meno: la pubblicità è il fondamento del mercato, dell'economia, degli scambi. Ti segue ovunque, attraverso tutti i possibili mezzi di comunicazione di massa. Si, in effetti la nostra è la civiltà della comunicazione globale e, dunque, non bisognerebbe scandalizzarsi troppo di fronte all'invasione pubblicitaria: è semplicemente un'altro aspetto di quello che, per certi versi, è legame, contatto, condivisione, perfino libertà. Una società che impara ad essere unita rispettando le differenze, cioè unitaria e molteplice allo stesso tempo, è qualcosa di ideale, di grande, di vero. Eppure non riesco ad essere tranquillo riguardo alla pubblicità, in breve non mi piace affatto. Riflettendo, mi sembra che - sebbene in sé il concetto possa avere gli illustrati valori positivi - la sua forma odierna è soprattutto inganno, apparenza. Intendo dire che ciò che viene reso pubblico ha lo scopo principale di direzionare le scelte più che informare, di creare illusione più che verità. Ecco dove sta il punto! Se dovessi cercare una interpretazione psicologica o analitica di ciò, direi che le nostre società non sono ancora mature per una reale e matura condivisione, limitandosi soltanto a comportamenti esibizionistici che prendono il posto della reale comunicazione. Se dovessi dare una collocazione, se dovessimo fare un paragone con le età evolutive dell'uomo, potremmo dire che la nostra attuale cultura 'pubblicitaria' è analoga ad una fase dell'adolescenza o della pre-adolescenza, quando le tendenze all'esibizione di sé, del proprio corpo e via dicendo, sono soltanto il preludio alle normali relazioni con gli altri. Una fase, insomma, di tipo narcisistico che verrà seguita dal riconoscimento dell'altro come individuo e come oggetto/soggetto di reciproco scambio e crescita. Speriamo bene...