mercoledì 26 luglio 2006

L'ultima tentazione di Cristo.


Per riprendere in parte il discorso sul Codice da Vinci, mi sembra importante sottolinearne un aspetto: il nucleo principale di quel racconto sta nel fatto che Gesù si sarebbe sposato con la Maddalena e avrebbe avuto una discendenza. In proposito ricordo un film di Martin Scorzese, bellissimo, che nel 1988 generò uno scandalo analogo a quello attuale per il Codice: anche in quella storia - tratta dal libro di Nikos Kazantzakis - si parla dell'unione d'amore di Gesù con la Maddalena, però in forma di fantasia, come una "tentazione" del Cristo sulla croce, che immaginava di poter svolgere una vita normale, anche matrimoniale - come tutti gli ebrei dell'epoca - insieme alla sua amata. Nel film erano presenti alcune scene di abbracci, di amore, fra Gesù e Maria di Magdala, e questo infastidì molto quelli che del Cristo avevano un'immagine meno "umana" e più divina: in breve considerarono quelle scene un'offesa a Dio. Ricordo personalmente i capannelli di persone davanti ad un cinema di Londra che manifestavano contro il film e avvertivano che entrare nella sala di proiezione era un grave peccato, un sacrilegio! All'epoca ci fu anche un attentato di stampo terroristico da parte di un gruppo cattolico fondamentalista, con bombe molotov all'interno di un cinema parigino e il ferimento di tredici persone. Fortunatamente, a quanto ne so, il Codice da Vinci non ha generato problemi del genere, a parte le rimostranze di un certo tipo di credenti e qualche vicenda legale. D’altra parte il successo del Codice – il libro e il film – è molto più ampio, molto più di massa, e quindi è anche più difficile opporvisi... Perché tanto sdegno all’idea che Gesù possa essersi sposato? Non credo che si possa negare che egli fosse un ebreo e, quindi, che la cosa potesse essere probabile: a parte certe sette che osservavano in tutto o per certi periodi il celibato – come pare facessero gli Esseni e forse anche i seguaci di Giovanni il Battista (che secondo qualcuno potrebbero essere le stesse persone) – il matrimonio era considerato parte della religione, della rettitudine, dell’adesione alla Legge divina. Nella Bibbia Dio non fa che promettere ai Patriarchi una discendenza numerosa come le stelle nel cielo: dunque sposarsi e procreare è essenziale per seguire la Volontà del Creatore. Nessuno dei Patriarchi biblici è celibe o dedito al voto di castità. Se Gesù si fosse sposato, anche da Rabbi, non avrebbe fatto nulla di sconveniente. Questo dal punto di vista ebraico. Da quello cristiano, invece, ci sono dei problemi: Gesù è Dio. Maria, sua madre, Lo concepisce da vergine. Quindi la sessualità è totalmente assente, e questa mancanza viene probabilmente considerata una caratteristica divina, quasi il segno, la prova, della divinità del Cristo. Il sesso è materia, Gesù è spirito. Dio è diverso, lontano dal mondo. Lo crea, ma ne è separato. Inoltre è Padre... ma senza la Madre, come invece era in molte antiche cosmogonie! Non c’è da meravigliarsi che la cultura derivata da queste idee sia stata per duemila anni sessuofobica in maniera violenta e restrittiva: ancora oggi, nell’ambito delle religioni cristiane, la sessualità credo sia tollerata come un male minore, necessario soltanto alla riproduzione della specie. Almeno a parole…

martedì 25 luglio 2006

Codice da Vinci e Santo Graal.


Ecco qualche riflessione sul Codice da Vinci e sul suo enorme successo editoriale... Praticamente quasi tutti hanno letto il libro, e ora c'è anche il film! Senza entrare nel merito del racconto di Dan Brown e delle "rivelazioni" che egli fa su alcuni aspetti della storia del Cristo (tra l'altro già ben documentati in un testo degli anni '80, il "Santo Graal" - di Baigent, Leigh, Lincoln) vorrei cercare di capire da cosa origina l'enorme interesse collettivo che si è generato intorno ad esso. Innanzitutto c’è il richiamo alla figura di Leonardo da Vinci e, conseguentemente, al Rinascimento italiano: un’epoca di grande fermento che, nell’immaginario collettivo, è legata al genio, alla rivoluzione generata dalla mente dell’uomo, dalla sua abilità e conoscenza. Così è Leonardo: quasi un archetipo di chi è capace di comprendere i segreti del mondo e della vita. Il “Codice da Vinci”, dunque, allude proprio a questa conoscenza, alla custodia di un segreto, ad un’intelligenza illuminata che nasconde una verità sconvolgente lasciandone, però, alcuni precisi indizi che soltanto chi è abbastanza attento e preparato può riuscire a decifrare. Dunque, dicevamo, il genio, e un misterioso segreto. Poi c’è il “labirinto”: cioè la ricerca condotta attraverso una serie di indicazioni quasi indecifrabili, vicoli ciechi, false conclusioni e colpi di scena continui. Durante questa ricerca la realtà quotidiana assume una diversa capacità di comunicare significati, tutto diventa suggerimento, indicazione, allusione e dietro tutto, ancora, una mente – o più menti – che orchestrano il gioco, che lo hanno preparato per centinaia di anni. Menti che comprendono, che sanno, che allestiscono e proteggono una rivelazione rivoluzionaria. Contrapposte ci sono altre intelligenze che, però, sono intrise di potere, di corruzione, di avidità – che vogliono impedire il corretto svolgimento della ricerca e impossessarsi con la violenza del risultato. Qual è poi questo grande segreto, l’oggetto della contesa? Essenzialmente questo: che la religione, la scienza e il potere organizzati hanno volutamente distorto la verità delle cose, e che il “sacro” è molto più vicino a noi, oggi, di quanto si possa immaginare. Il lignaggio del Maestro non è distante e il Santo Graal, oggetto della ricerca più appassionante della storia dell’occidente, è il ventre della donna con la sua possibilità generativa, è – insomma – l’uomo stesso, l’uomo comune – con la sua normale biologia, con la sua psiche, con la capacità di vivere e trasformare la realtà. Il divino non è patrimonio di qualcuno, ma è nostro, siamo noi… In questo modo il “Codice da Vinci”, forse, ha risvegliato antiche simbologie, passioni addormentate, ha riscoperto la Cerca del Graal riambientandola e reinterpretandola per l’epoca attuale, sicuramente ispirando altri film, altri libri sull’argomento. Certamente il paragone fra Dan Brown e Chretien de Troyes è eccessivo e azzardato, pur essendo entrambi romanzieri di una saga mitica. Inoltre il fenomeno attuale può smorzarsi in un batter d’occhio – come succede nel nostro mondo dove le mode nascono e svaniscono soppiantate da altri fenomeni commerciali e di costume – mentre Chretien de Troyes ha dato inizio nel 1190 ad un interesse che è durato centinaia di anni e che, in un certo senso, ancora sopravvive. Anzi, sono abbastanza convinto che lo scrittore americano, Dan Brown, abbia saputo trovare un aggancio “popolare” a quella antica vena, a quella saga che, forse, non si è mai sopita nell’animo dell’occidente – perché parla al cuore e indica una religiosità viva, senza intermediari, misteriosa ma contemporaneamente vicina e accessibile per tutti noi.

mercoledì 12 luglio 2006

Marcia Trionfale.


Non sono un appassionato di calcio, anzi... direi proprio il contrario. Tuttavia questa volta ho osservato con interesse le vicende dei mondiali e ho seguito le competizioni con un certo piacere. In breve sono riuscito a calarmi nei panni di chi queste cose le ha sempre seguite ed apprezzate. Sono molto contento di questo, e in effetti per me è una vittoria personale: con la maturità (intendo con il progredire dell'età e non necessariamente della saggezza) mi rendo conto che è bello e importante calarsi nelle atmosfere 'collettive', nelle modalità consuete della vita... se non altro per capire, per condividere, per partecipare. Quella sorta di arroganza intellettuale, quella malcelata e sottile vena di disprezzo 'rivoluzionario' verso le mode e le opinioni comuni si va in me stemperando, sostituita dal desiderio di comprendere, forse addirittura - non vorrei usare parole troppo impegnative, ma devo dirlo - di amare. Sarà la famigerata compassione buddista che, grazie alla 'pratica', mi si fa tangibile, si sviluppa...? Mah! Seguendo, come dicevo, le partite, ho comunque notato una cosa - forse ovvia per molti, però per me molto intrigante: la somiglianza, anzi, addirittura l'identità, fra questi giochi - la lotta, la vittoria e la sconfitta, l'entusiasmo delle folle e tutto l'insieme - e le manifestazioni circensi dell'antica Roma. A parte il fatto che oggi non si arriva (o non si dovrebbe!) alla violenza vera e propria, al sangue, alla morte, guardando il trionfo della 'nazionale' ho avuto la netta impressione di assistere a qualcosa di antichissimo: al tripudio collettivo per la vittoria dei gladiatori, unito a quello delle marce trionfali che accoglievano in un bagno di folla e lasciavano sfilare in festa i vittoriosi reduci delle guerre contro i dalmati, i britanni, i galli, i goti. E' mai possibile che in queste manifestazioni odierne davvero emergano - sorgendo da una sorta di inconscio collettivo - comportamenti e significati di migliaia di anni fa e anche più antichi? Certo colpisce che in un'epoca smaliziata come la nostra dove le ideologie hanno pochissima presa sulla gente - sia in senso positivo che negativo - si possano scatenare entusiasmi di massa come quelli osservabili in questa occasione. E' come si trattasse di un nazionalismo non ragionato, non elaborato, non ideologico, bensì archetipico, del ventre e del cuore. Come a soddisfare un bisogno a lungo disatteso o represso: quello alla vittoria, al giubilo collettivo, all'identificazione con una causa e una bandiera. Forse abbiamo tutti necessità, come individui e come nazione, di credere in qualcosa di rivitalizzante, di sconfiggere la paure, la depressione, la morte. E allora, in un'epoca come quella attuale di appiattimento ideale scientista e materialista, di problemi economici, si riscopre la gioia della celebrazione, del rito, della partecipazione. D'altra parte, non era ciò che avveniva anche allora, con i circenses?