martedì 23 dicembre 2008

Paradossi taoisti.


"Nell'antichità coloro che eccellevano nel praticare la Via non se ne servivano per illuminare il popolo, ma per tenerlo in stato di ignoranza. Quando il popolo ha troppo sapere è difficile da governare, perciò colui che governa un paese per mezzo del sapere è un flagello per tale paese...(Tao Te Ching - cap. LXV - trad. Duyvendak - ed. Mondadori)"

"...Se non si dà valore ai beni difficili da ottenere, si ottiene che il popolo non rubi. Se non gli si mostra ciò che potrebbe bramare, si ottiene che il cuore del popolo non sia turbato... Ecco per quale ragione il Santo nella sua opera di governo indebolisce la volontà (degli uomini) e rafforza le loro ossa... egli pratica il non agire e in questo caso non c'è nulla che non sia ben governato (cap.III - ed. cit.)."

Si tratta di affermazioni sorpredenti per una corrente di pensiero libertaria come il taoismo e un Maestro illuminato come Lao-tzu. Però, a mio parere, per comprenderle è necessario contestualizzare storicamente e filosoficamente. Ciò non per fare dell'erudizione fine a sé stessa, ma per cercare di calarsi nel pensiero o nell'intenzione dell'autore e poi, eventualmente, trarne dei significati personali e validi anche per la propria vita ed esperienza. La corrente religioso-filosofica del taoismo si pone in maniera rivoluzionaria rispetto alle concezioni vigenti all'epoca, che sfociarono nella codifica operata dal Confucianesimo. Si trattava di un modello sociale e culturale che fondava su un'opera fortemente moralizzatrice e propagandistica, che esaltava valori e comportamenti considerati positivi, in linea con la volontà divina. Esisteva una rigida e precisa gerarchia sociale con l'Imperatore e i suoi funzionari al vertice, e anche la famiglia era strutturata in ruoli precisi e inderogabili, i cui componenti dovevano svolgere funzioni prefissate, sempre volte ad esprimere la virtù, la bontà, l'amore, la pietà filiale, la cultura, la disciplina, eccetera. All'interno della famiglia - così come nello stato aveva rilevanza il grado di autorità e lo specifico ruolo - ci si appellava l'un l'altro non tanto con il nome personale, quanto con espressioni che definivano la posizione genealogica: Primo Cugino, Secondo Zio, Terzo Nipote. Anche l'istruzione era tenuta in grande considerazione, c'erano scuole con severi esaminatori e ospedali, insomma tutto era codificato e perfetto. Il taoismo, tuttavia, è critico verso tale "perfezione" considerandola totalitaria, di facciata, come qualcosa di imposto dalla mente degli uomini, sempre lontana dalla spontaneità e dalla natura delle cose. Per questo Lao-tzu pone dialetticamente i suoi paradossi estremi: se nomini la Realtà Ultima (Tao) la perdi, se fai opera moralizzatrice incoraggi il vizio, se agisci con una volontà coscientemente diretta otterrai l'opposto di quanto ti sei prefisso. L'"ignoranza" esaltata dal taoismo significa naturalezza, adesione alla propria vera natura; il "vuoto" è apertura alla vita che ha in sé propri ritmi e insegnamenti, diversi dalle idee restrittive e fuorvianti, dagli slogan e dalle schematizzazioni con le quali l'uomo a volte finisce per impoverire la propria realtà e quella del mondo circostante.

Festa del solstizio d'inverno.


In realtà l'ho già scritto diverse volte su questo mio blog (e spesso lo ripeto ai miei amici) che il Natale cristiano e il Capodanno sono i due aspetti dell'antichissima festa del Solstizio d'Inverno, presente in tutte le tradizioni. L'uno, il Natale, ne ha raccolto le caratteristiche religiose e apollinee - con il senso della rinascita della luce interiore dopo l'oscurità. L'altro, il Capodanno, ne ha raccolto gli elementi dionisiaci e "orgiastici", cioè la baldoria, l'ebbrezza, il festeggiamento sfrenato, il divertimento. Un tempo questi due aspetti erano riuniti in un unico periodo di celebrazione, non essendoci nelle tradizioni antiche tutta questa separazione fra spirito e materia, fra ascesi ed ebbrezza, come è stato poi nel cristianesimo. Tuttavia, oggi, il Natale sta sempre di più perdendo il sapore religioso, e si va assomigliando al Capodanno, con festeggiamenti, grandi mangiate e brindisi.

Per ciò che riguarda il 25 dicembre si sa che è una data convenzionale (ormai anche secondo la chiesa cattolica) ma simbolicamente molto importante: c'è la minima quantità di luce dell'anno solare ma, al contempo, è da qui che inizia a riaumentare, che la luce "rinasce" - proprio come fa la luce spirituale del Cristo. Per lo stesso motivo si fa ormai coincidere l'inizio dell'anno con questo stesso periodo (ci sono e ci sono state molte altre date significative per il capodanno, secondo diverse culture).

Anche gli estremo-orientali considerano molto importante celebrare il Capodanno come momento del rinnovamento di sé, e lo fanno da tempi immemorabili fino a tutt'oggi, ma la data cambia ogni anno poiché coincide con la luna nuova più vicina al 5 febbraio, prima o dopo. Perché i sino-giapponesi si riferiscono a quel momento come inizio dell'anno? E' un pò complesso spiegarlo, ma in breve è una data che si situa a metà strada fra il Solstizio d'Inverno e l'equinozio di Primavera, che sono due eventi importantissimi per il ciclo solare e per l'impulso che questo dà al rifiorire della natura. Inoltre gli orientali tengono conto della luna, che dev'essere "nuova", cioè anch'essa all'inizio del suo ciclo. Poiché si riferisce sia al sole che alla luna è da considerarsi una data in perfetto equilibrio Yin-Yang.

Per me, come avrete capito, questi concetti sono molto interessanti - al punto che rischio di essere petulante e noioso: in effetti percepisco il momento di rinnovamento che la natura esprime, il "giro di boa" dell'anno solstiziale, il momento del re-inizio, del ricominciare. Rispetto anche la tradizione in cui sono inserito culturalmente e dunque... faccio a tutti quanti i miei migliori auguri di Buone Festività Solstiziali - comunque le intendiate. Buon Natale, Buona Rinascita della Luce, Buon Anno...!

sabato 15 novembre 2008

Barack Obama: una svolta luminosa.




Ringrazio di tutto cuore gli Stati Uniti e Barack Obama per la gioia che, in questo momento, ci regalano. Commozione, esultanza, speranza di un cambiamento sostanziale contro la pena di morte, contro la strategia della paura come espediente di governo, contro la guerra come strumento di affermazione della cultura e dell'economia; in favore dei diritti civili, del rispetto delle minoranze, del sostegno ai più deboli, del rispetto dell'ambiente, della valorizzazione delle differenze di razza, sesso e religione come una ricchezza per tutti... e molti, molti altri sono gli ingredienti di questa meravigliosa e sfolgorante vittoria. Una vittoria il cui impatto non è soltanto circoscritto all'area statunitense ma, considerando il ruolo che l'America ricopre a livello mondiale, ha ed avrà ripercussioni planetarie, globali.

La presidenza di Barack Obama è simbolicamente straordinaria anche perché lui è una persona di colore: gli americani hanno scelto un leader "diverso", avente legami culturali con paesi lontani come il Kenia e l'Indonesia, figlio di padre nero e madre bianca (un tabù insormontabile per la vecchia società benpensante!), e tutto ciò era inconcepibile anche fino a poco, pochissimo tempo fà!

La cosa fantastica poi, ciò che veramente mi regala una gioia profonda, non è tanto il carisma di Obama, la fiducia in lui come leader e uomo capace di affrontare e risolvere i problemi di governo: è invece il fatto che tante, tantissime persone, milioni di persone gli hanno concesso una maggioranza schiacciante e lo hanno scelto, hanno scelto il cambiamento, il nuovo! Un nuovo che rappresenta un futuro ulteriore rispetto all'attuale chiusura occidentale sul potere, sui privilegi, sulla cultura e sull'economia, sul rigore e il disprezzo verso ogni differenza, sull'imposizione dell'uniformità a tutti i costi e in tutti i sensi, sulla globalizzazione deteriore.

C'è un antico detto ermetico e alchemico che recita, più o meno: "Quando le orecchie del discepolo si aprono, il Maestro parla." Significa che non è tanto il leader che produce, dall'alto della sua autorità, il cambiamento nel "gregge" che vuole guidare, quanto sono le persone stesse che, aprendo la loro mente e la loro vita, chiedono di essere guidate verso una certa direzione. Senza questa apertura e questa richiesta nessun cambiamento è possibile. Il leader è importante, e molto, ma egli è l'espressione del desiderio e della speranza di coloro che è chiamato a rappresentare e guidare; i quali, con la loro decisione, gli conferiscono la necessaria autorità. Milioni di persone, oggi, chiedono di essere guidate con determinazione verso un mondo migliore, più libero, più ricco nell'accoglimento della complessità, più compassionevole. E questo è meraviglioso.

venerdì 31 ottobre 2008

"L'angoscia di Marlon."


Propongo qui di seguito un raccontino che ho scritto in questi giorni rispondendo ad un mio bisogno di riflessione: al suo interno si celano - piuttosto trasfigurati - eventi reali, veri interrogativi e risposte utili a me stesso. Essendo, comunque, il blog un "luogo" virtuale di condivisione, mi fa piacere offrirlo alla lettura.

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La notte era buia e tempestosa; ma questo lo si può facilmente immaginare confrontando questa storia con altre dello stesso genere. In quel pub, laggiù in America, alla fine dell'Hollywood Boulevard - non proprio sulla strada principale, ma nell'ultimo vicolo sulla sinistra - Marlon stava cercando di ingoiare quanti più bicchieri di buon bourbon poteva. Si era convinto che nel fondo di ogni bicchiere - quel fondo di vetro spesso, luccicante dopo ogni bevuta - avrebbe trovato il rimedio per il proprio sconforto; ma la soluzione tardava ad arrivare ed era già molto tardi. Il barista spazientito, avvezzo ai clienti che la tirano per le lunghe - curvi sul bancone con lo sguardo perso, decisi a stemperare il proprio dolore nell'alcol - cominciava a manifestare al suo unico avventore dei segnali eloquenti per indurlo ad andarsene: in effetti voleva chiudere perché nel locale non c'era più nessuno, fuori faceva freddo e non vedeva l'ora di tornarsene a casa a guardare la TV e mangiare qualcosa che desse un sapore alla propria serata. Però quel tipo era piuttosto difficile da mandar via: ermeticamente chiuso nel suo riserbo, sembrava incollato allo sgabello, inamovibile; e poi lo conosceva bene, era un attore famoso che egli stesso aveva visto recitare in parecchi splendidi film. Lo aveva ammirato in ruoli forti e decisi, ma adesso gli dispiaceva osservarlo in quello stato e non sapeva che cosa fare. Fortunatamente in quel momento un altro avventore entrò scendendo le anguste scale del bar e lo distolse dall'imbarazzo: era un uomo con un impermeabile chiaro allacciato fino al collo per il freddo e un cappello ad ampie falde che ne manteneva il viso misteriosamente in ombra. Il nuovo arrivato fissò per un momento Marlon, poi gli si sedette accanto e si accese una sigaretta, in silenzio e discretamente, in attesa. Passò qualche minuto prima che Marlon lo notasse e, con voce strascicata, da ubriaco, lo apostrofasse: "Humphrey, che cavolo vuoi? Lasciami in pace."

"Marlon, qual è il problema?" disse l'altro, scrutandolo con attenzione fra le volute di fumo azzurro della sua sigaretta.

"Ecché, sei la mia coscienza? Il mio problema è affar mio. Che c'entri tu?"

"Beh, sei ingiusto Marlon. Ti ricordi quella volta che..."

"Okay, okay!" si affrettò a interromperlo Marlon prima che egli cominciasse a rievocare gli episodi della loro amicizia e della reciproca solidarietà, "Vabbé, ecco, stavolta è diverso: nessuno può essermi d'aiuto, è una cosa che devo risolvere da solo."

"Può darsi", Humphrey ammise, "e non voglio essere invadente. Tuttavia parlarne può essere d'aiuto. Perché non mi racconti tutto dall'inizio? Naturalmente, come sai, puoi contare sulla mia discrezione."

Marlon alzò il capo e lo guardò dubbioso, poi scrutò il bourbon per cercarvi ancora dentro una risposta, non la trovò e, allontanando il bicchiere con la mano, disse esitante: "Cecil B., il problema è Cecil B..."

"Cosa? Il tuo produttore e regista?" Humphrey era piuttosto sorpreso, perché fra Cecil B. e Marlon c'erano sempre stati buoni rapporti.

"Proprio lui, o piuttosto, il suo nuovo film, quello in cui dovrei essere il protagonista!" L'attore sembrava sinceramente disperato.

Humphrey soffiò lentamente una spirale di fumo e scrutò l'amico con attenzione: "Sei impazzito, Marlon? Hai un ruolo in un nuovo film diretto da Cecil, e ti sei ridotto in questo stato?"

Marlon fece il broncio e sussurrò a bassa voce, quasi vergognandosi: "Non mi piace il personaggio..."

"Cosa?" ripeté Humphrey sempre più stupito: sapeva che il suo amico attore amava calarsi in ruoli diversi, anche insoliti, difficili, considerando una sfida positiva il riuscire a farli propri, di qualunque tipo essi fossero.

"Non mi piace", sbottò improvvisamente Marlon, facendo trasalire il barman e puntando con veemenza il dito contro il suo interlocutore, "No! Per niente! Non mi piace, o piuttosto, non sono d'accordo! Neanche un pò! Non lo sono ASSOLUTAMENTE! Ho passato la vita a rivendicare i diritti degli indiani e delle minoranze. Mi ci vedi a interpretare la parte di un sudista, un negriero, uno schiavista, un... un...?"

L'uomo con l'impermeabile, a quel punto, non poté frenare una risata divertita e, interrompendo lo sfogo dell'amico, ribatté: "Stai scherzando? Per tutte le Ombre Rosse di Hollywood! Non dirai sul serio! Ti spaventa forse fare la parte del cattivo? Sai quante volte io stesso ho interpretato terribili gangster e simili?"

"Lo so benissimo, e non è questo il problema" sibilò freddo e risentito Marlon, aggiustandosi addosso il giubbotto nero e riprendendosi parzialmente dalla sbronza, "il fatto è che non stiamo parlando di una parte da cattivo. No. Quel personaggio, nell'ambito del racconto del film, è uno... buono, buonissimo. Cecil B. così l'ha concepito. Anzi," l'attore era sempre più visibilmente sobrio,"quel tipo, il protagonista, vuole salvare il mondo rivalutando il passato sistema di vita, considerandolo ispirato a principi morali validi..."

"Vuoi dire che il messaggio di Cecil è che bisognerebbe ritornare all'epoca prima della Guerra di Secessione, prima di Lincoln, prima di tutto quanto sta alla base della nostra attuale libertà, della nostra ricerca di un'era di vera democrazia...?" Humphrey era esterrefatto. Non era facile sorprenderlo, essendo piuttosto smaliziato e pratico di tutte le questioni, ma questa volta la sigaretta gli cadde dalle dita.

"Libertà?", Marlon era amareggiato, "Cecil B. afferma che la vera libertà stava in quella società già perfettamente strutturata, antecedente al 1861, che sia pure con divisioni di classe e manodopera schiavista, garantiva ricchezza e benessere per tutti, scambi di materie prime - cotone o altro - con l'Europa, e una giustizia amministrata da saldi e collaudati principi morali e religiosi. Dice che gli schiavi, siano stati essi negri o aborigeni americani, erano trattati con umanità - in quanto facenti parte della famiglia che li impiegava come forza lavoro. Dice anche che, dopo la decantata abolizione della schiavitù, in realtà essi continuarono a far parte delle classi inferiori, ad essere sfruttati, e in molti casi la loro situazione peggiorò notevolmente - oltre a quella della società nel complesso, priva di sicurezze, in balia dei poteri economici, dell'immoralità dilagante, di ogni moda e degli imbonitori politici e religiosi di turno."

Humphrey si accese con calma un'altra sigaretta, emise alcune spirali fumose e, poggiando con un gomito sul bancone del bar, si rivolse per la prima volta al barman chiedendo: "Amico, che te ne pare?"

Questi, un po' disorientato per essere stato coinvolto in quel discorso che non avrebbe neanche voluto ascoltare, rispose in fretta: "Io? Beh, non lo so. Non mi intendo di politica." Avrebbe volentieri aggiunto: "voglio solo tornarmene a casa", ma non lo fece, trattenendo a stento l'impazienza.

Marlon, che nel frattempo aveva ripreso il bicchiere bevendone un sorso, osservò: "Già, sembra proprio politica, ma Cecil B. dice che non lo è. Lui dice che è filosofia. Cita Platone. Parla del mondo delle idee, del tempo in cui esso era evidente agli uomini ed esistevano solidi e indubitabili principi religiosi su cui basarsi."

Humphrey sorrise: "Beh, in effetti all'epoca di Platone la schiavitù c'era eccome, ed era parte integrante di quel tipo di società. Platone non l'ha mai messa in discussione, ma ha cercato di applicare in politica la sua filosofia. Semmai" e il suo sorriso si fece più ampio e ironico, "mise in discussione gli attori e ogni forma di teatro e rappresentazione! Secondo lui la finzione scenica era comunque finzione, falsità, menzogna capace di corrompere gli animi nell'anelito alla suprema Verità."

"Scusate", interruppe il barista, "io sono una persona ignorante di certe cose. Però ho sentito dire che all'epoca di questo... Platone, era ammessa la pedofilìa, in quanto fra un anziano Maestro e un giovanissimo discepolo poteva esserci un... affetto, diciamo, insomma..."

"Insomma basta!", Marlon stava veramente perdendo la pazienza, "Qui si divaga, ci si impegna in disquisizioni teoriche! Io, invece, ho un problema reale, urgente! Come posso sposare e interpretare un testo che inneggia a ideologie passate che non condivido? Come posso rappresentare un personaggio che testimonia con forza un modo di vedere che non mi appartiene, proponendo così ai miei spettatori qualcosa che a loro sembrerà io sottoscriva moralmente?" Finì il bicchiere di bourbon e aggiunse con più calma: "Ragazzi, non so se mi capite, è una questione di coscienza."

"Scusi ancora" disse il barista, "sa, io La capisco, ho ascoltato un mucchio di storie, qui, dai miei clienti. Spesso le persone si sentono in un vicolo cieco, senza una via d'uscita, e ne parlano con me mentre tentano di affogare nel whisky. E' un errore, c'è sempre una via d'uscita, e io cerco di farglielo notare, di farli ragionare. Per esempio, Lei, che asserisce di avere un problema morale con quella parte in un film, dica: non potrebbe semplicemente rifiutarla? Se è davvero un fatto di coscienza! Mi perdoni, sa, magari non ho compreso bene e non vorrei offenderla, ma visto che il suo amico mi ha introdotto nella discussione..."

"Non preoccuparti, hai ragione, dici bene: quella sarebbe una soluzione semplice ed efficace" ammise Marlon stancamente, "ma il fatto è che Cecil B. ci tiene a quella storia e, soprattutto, alla sua idea filosofica: è un sacco di tempo che me ne parla e ci lavora instancabilmente. Io voglio bene a Cecil, e vorrei farlo contento." Guardò gli altri due negli occhi e poi aggiunse: "Inoltre, non so come dire, ma... Cecil, a suo modo, ha gli stessi miei ideali: pace, comprensione, rispetto, amore... Certo, in qualche modo li abbiamo tutti, sempre quelli, o diciamo di averli. Ma Cecil B. è uno serio, che li persegue senza risparmiarsi. Ecco, non sono d'accordo con lui sull'analisi delle cause, forse neanche sui mezzi e perfino su certi obiettivi, ma ne condivido interamente e senza riserve il cuore!"

"Allora, bello mio, il tuo problema è inconsistente, totalmente risolvibile". Humphrey fece un cenno al barman per avere anche lui il suo bicchiere di bourbon. Adesso aveva capito come aiutare l'amico e sentiva il bisogno di festeggiare. Sorseggiò la bevanda riflettendo sulle parole da usare, cercò di rammentare qualcosa, e poi disse:"Te lo ricordi anche tu, Marlon, quel film - in realtà mai realizzato - che Rodolfo progettava alcuni anni fa. No? Lui voleva fare la versione cinematografica di un poema indiano: sai, gli piaceva quella roba esotica. Quel poema narra di un condottiero che, prima di una sanguinosa guerra, si rivolge al suo Maestro perché non vuole combatterla. Gli dice che la guerra è una cosa terribile, che produce lutti e sofferenza a tutti e che è angosciato da questo pensiero, che non è morale combattere e la coscienza gli rimorderebbe a uccidere tante persone. Il Maestro, che gli indiani pensano sia anche Dio, una sua incarnazione, gli risponde che nella realtà la morte non esiste, che nessuno perirà veramente, e che lui come condottiero è un guerriero: quindi è suo dovere recitare la sua parte fino in fondo. The show must go on!" Humphrey tacque, accertandosi che quanto appena espresso penetrasse in profondità nella mente dei suoi interlocutori. Poi riprese: "Così io dico a te: sei un attore. Recita! E' il tuo dovere, il tuo impegno. Nessuno spettatore sarà mai veramente danneggiato da quanto potrai esprimere in un film: le persone di solito elaborano secondo la propria testa! Al massimo avrai fornito loro uno spunto di riflessione. Inoltre, riguardo a Cecil, stando a quanto tu stesso dici, ne percepisci il cuore, il suo intendimento, e lo trovi buono. Bene, è quel cuore che devi cercare di rappresentare, non le opinioni - né le tue né le sue - ma soprattutto il cuore, ed è ciò che veramente conta. "Detto questo spense la sigaretta nel posacenere, incrociò le braccia soddisfatto, fissò l'amico e attese. Il suo sguardo, in ombra sotto la falda del cappello, era divertito e penetrante.

Marlon ristette per un pò silenzioso, riflettendo, poi finalmente la sua espressione s'illuminò di un sorriso ampio e senza più dubbi. "Grazie" disse commosso al suo amico e al paziente barman. Poi, rendendosi improvvisamente conto di essersi troppo concentrato sul suo personale disagio e rivolgendosi a quest'ultimo: "Ragazzo, è tardi e credo che tu debba tornartene a casa. Scusami per averti impegnato così a lungo. Però devo chiederti un ultimo favore." Sorrise ancora, mentre cercava in tasca i soldi per saldare il conto. "Fammi un caffè. Bello forte."

mercoledì 22 ottobre 2008

Crisi economica


Tutti noi, qualche tempo fa, ci lamentavamo della crisi dei valori e delle ideologie, degli ideali ormai scomparsi da questo nostro mondo così complesso. Adesso dobbiamo lamentarci anche di una crisi economica di vastissime proporzioni. Gli antichi guardavano a questi eventi collettivi cercando di scorgere segni premonitori, significati ulteriori e il senso del destino dei popoli. Rintracciavano, prima e dopo i grandi movimenti della storia, dei legami con gli astri, con le forze della natura, con i simboli; tracciavano delle simmetrie con le forze interne e quelle esterne all'uomo. Noi siamo quasi del tutto slegati da questo modo di interpretare le cose, da questi tentativi di comprendere ciò che sta oltre le apparenze e la manifestazione esteriore degli eventi stessi. Quando vogliamo capire, riduciamo tutto a numero, a statistica, a grafici. Ci sembrano l'unica cosa solida, realistica. Utilizziamo i numeri soltanto per il loro valore quantitativo, certamente non indulgendo in quello analogico, simbolico e qualitativo - che ci sembrano superflui, specchio di un mondo di credenze primitive e fuori dalla realtà vera. Adesso, però, la nostra logica di vita che si basa quasi esclusivamente sulla quantificazione e sulla equazione valore=quantità, sembra incrinarsi, franare su sé stessa. Uno dei sistemi che maggiormente rappresenta la mentalità odierna, quello ecomomico, si frantuma lasciandoci una triste consapevolezza: l'acume finanziario, la ratio quantificatrice, la scaltrezza ecomistica fondano sull'illusione, su quantità irreali e fittizie, su scambi di valori inesistenti e inconsistenti, che si creano e svaniscono come immateriali e fluttuanti bolle d'aria. Certo, avendo investito così tanto sul solido (dal latino solidus, soldus, soldo), siamo certamente disorientati dalla sua fluidità e imprevedibilità. In realtà non siamo di fronte solamente ad una crisi economica, ma anche e soprattutto alla crisi di una mentalità, di una visione e di una interpretazione del mondo. Dopo la cosidetta caduta del comunismo, probabilmente assistiamo a quella del capitalismo e dei suoi neo-derivati liberisitici. Questo nel senso socio-politico. Nel senso conoscitivo, filosofico ed esoterico la cosa risulta ancora più interessante...

martedì 16 settembre 2008

L'Alitalia e Leonardo da Vinci


Prestando attenzione alle sconfortanti notizie degli ultimi tempi riguardanti l'Alitalia, la cosiddetta "compagnia di bandiera", non posso fare a meno di notare il rapporto simbolico e analogico che questa azienda ha con l'Italia stessa, con il suo governo e la società in generale. Se le notizie di cui dispongo non sono errate, Alitalia si sarebbe costituita formalmente il 16 settembre 1946, esattamente 62 anni fa, nel dopoguerra, in un periodo in cui il Bel Paese "decollava" verso nuovi orizzonti e un nuovo destino. Non voglio qui analizzare la storia e i cambiamenti di una società che, negli anni, è mutata radicalmente attraversando varie fasi; ma l'Alitalia ha sempre volato, più meno alta, come l'Italia stessa (assimilando anche i vizi nazionali dell'autoreferenzialità e della supponenza): si è collegata con tutto il mondo, significativamente ha attualizzato scambi con altri paesi e culture che hanno un valore metaforico profondo, quello su cui fonda la nostra attuale società della comunicazione e della globalizzazione, evidenziandone in questo caso il senso positivo. Tuttavia è dal 1999, sembra, che la Compagnia non realizza più utili e che riduce i suoi contatti, le sue destinazioni. L'Alitalia è in crisi, ma anche l'Italia è in crisi... Non si vola più, individualmente e socialmente, o ci si appresta a non farlo più. Se consideriamo il senso simbolico del volo, del dominio dell'aria - che è libertà, pensiero, speranza, proiezione verso il futuro, leggerezza, che è la sfida forse più audace e sentita per l'uomo dotato di intelligenza - dobbiamo davvero preoccuparci se il nostro paese, per analogia con la sua compagnia aerea, rimane al suolo, incapace di decollare. Cosa ci è successo? Siamo forse naufragati spinti dall'arroganza, dall'individualismo deteriore, dalla perdita di ideale e di morale (quella vera, non quella formale che ancora fa bella mostra di sé negli spot pubblicitari dei politici e dei potenti), dall'incapacità di una comunicazione seria e reale? Non saprei, però secondo me c'è bisogno di una matura riflessione autocritica, di una presa di coscienza, c'è bisogno di responsabilità. Il problema non è tanto quello di risolvere il disastro dell'Alitalia, che mi auguro possa rientrare presto e nel migliore dei modi per tutti. Il problema, invece, mi sembra - per noi italiani - quello di ritrovare la nostra capacità di volare. Leonardo da Vinci, il cui nome è stato attribuito all'aeroporto di Fiumicino, riferendosi al proprio interesse per la conoscenza e al proprio sforzo di rinnovarsi incessantemente, indicava il volo continuo come quel costante rinnovamento del cuore e della mente che incarnava lo spirito stesso del Rinascimento. Forse, anche soltanto in parte, come italiani e per il bene di tutti, abbiamo veramente il dovere di riscoprirlo dentro noi stessi. In questo modo potremmo davvero salvare le... Ali-dell'-Italia, quelle vere!

venerdì 25 luglio 2008

Santiago de Compostela, la meta alchemica


Fra gli eventi e gli impegni abbastanza importanti e serrati in questo periodo, ci siamo concessi una piccola vacanza durante i primi giorni di luglio, quasi una breve escursione, a Santiago de Compostela - la meta europea di pellegrinaggio che, più di ogni altra, travalica i confini strettamente cristiani e cattolici. Ad essa, infatti, si avvicinano stranamente (oltre, è ovvio, coloro che sono legati agli ambiti confessionali e religiosi "ufficiali") anche una miriade di persone delle più diverse estrazioni religiose, mistiche e di ricerca interiore. Conosco personalmente qualcuno che ha percorso il Cammino di Santiago pur essendo sostanzialmente ateo, forse agnostico, semplicemente alla ricerca di un contatto diverso con sé stesso e con la solitudine del percorso, con il silenzio interiore e con gli altri pellegrini negli incontri che lungo la strada è possibile fare. Inoltre Santiago è risultato e risulta sempre più attrattivo come itinerario di tipo "New Age". Vedi, ad esempio, i libri che Paulo Coelho ha dedicato all'argomento: "Il cammino di Santiago" e "L'Alchimista"; anzi, credo che il successo di questo scrittore, vate della nuova spiritualità - libera, attenta ai segni e ai misteriosi messaggi della vita - sia proprio iniziato a partire dai lavori citati e da un viaggio che egli stesso aveva in precedenza compiuto a Compostela nel 1986. Anche l'attrice Shirley Mc Laine ha compiuto il pellegrinaggio, e anche per lei è stata un'esperienza di spiritualità New Age, intrisa di segni, simboli, richiami agli antichi percorsi medioevali verso Compostela e a misteriosi e vibranti rapporti energetici con le stelle, con la Via Lattea.



Per ciò che mi riguarda posso anch'io documentare la forza ispiratrice di questo luogo, indubbiamente dovuta alla fede e alla convinzione di innumerevoli persone che vi si sono recate e vi si recano da mille anni. I luoghi si impregnano della psiche di chi li abita, li visita, li percorre: immaginiamo cosa quindi può essere successo qui! Ho trovato anche molto interessante la parte alchemica, quella di antichi ricercatori che hanno visto in "Compostela" il senso di una fase mistica di trasformazione dal Piombo all'Oro: quella del composto-a-stella, quando nel crogiuolo dell'esperienza interiore il caos apparente della realtà comincia ad assumere una struttura ordinata, stellare, cosmica... Evidentemente esistono luoghi che più di altri sono in contatto con realtà sottili, o dove è più facile che avvenga uno scambio con gli invisibili mondi dell'interiorità: anche nell'antico racconto che descrive il ritrovamento della tomba di Santiago e la nascità della prima comunità attorno ad essa, si narra di luci misteriose e configurazioni stellari.



La figura del Santo, di San Giacomo, poi, all'interno della cattedrale a lui dedicata, circondato di ornamenti barocchi, dorati e risplendenti, secondo il mio personalissimo parere è rivestita solo superficialmente di una patina concettuale e religiosa cristiana: in realtà, nel profondo, si avverte una potente divinità antica, pagana. Lui, il Matamoros (nel mito ha aiutato le popolazioni locali a respingere l'invasione moresca), è un primordiale dio difensore, un Giove tonante e magnanimo, dispensatore di miracoli. Santiago è il dio Sole luminoso e Invicto: il Cammino si snoda da est a ovest, proprio come il percorso dell'astro diurno, e si ferma con i pellegrini a Compostela, prima di dirigersi verso la Finis Terrae, l'ultima propaggine della Galizia sull'Oceano Atlantico, dove tradizionalmente ci si affaccia sull'ignoto, alla fine della terre conosciute. Là il Sole si immerge nel mare e attraversa il cammino oscuro, sotterraneo, infero, per riemergere nuovamente vittorioso ad oriente...

mercoledì 16 luglio 2008

Meditazione sulla morte.


Il giorno 9 luglio mia madre, affetta da alcuni anni dal morbo di Alzheimer, ha lasciato questa dimensione, è "morta". Ha concluso così una fase difficile della sua esistenza ed ora, liberata, comincia per lei il periodo delle rielaborazioni e dei consuntivi. In occasione del rito funebre le ho dedicato la seguente riflessione.

Di fronte alla morte si rimane spesso sgomenti e le credenze, le filosofie o le religioni sembrano insufficienti a lenire il sentimento di smarrimento che si prova. Tuttavia qualcosa dentro mi dice che questo evento non è soltanto annullamento, ma percepisco in esso un recupero di valore, una sacralità, una reintegrazione cui non so e non voglio attribuire una precisa definizione. Sento che esiste una unità che conferisce senso e rende sostanzialmente illusoria ogni separazione definitiva. Se la mia piccola voce e la mia limitata comprensione possono, riecheggiando la voce dei Maestri dell'umanità, raggiungere Clelia, la creatura che ora è dipartita e che, per me, ha rivestito l'importante ruolo di madre, voglio dirle: "Grazie per la tua presenza e per la tua funzione in questo mondo che, nel bene e nel male, sono sicuramente servite allo sviluppo di tutti, alla completezza della storia che rappresentiamo sul palcoscenico della vita e da cui tutti traiamo beneficio. Se in questo momento ti trovi nella confusione della crisi e nel dolore della transizione, sappi che in realtà tutto si è compiuto nel migliore dei modi, che dietro di te non lasci nulla di irrisolto e che puoi aprirti con serenità alla meravigliosa trasformazione che ti attende. Sei circondata dall'Amore, realtà profonda della Vita oltre ogni illusoria apparenza. Amore che, al di là della nostra attuale consapevolezza in evoluzione, ci tiene e ci terrà sempre tutti uniti. Grazie."

martedì 24 giugno 2008

I due natali


Il simbolismo dei due solstizi con le rispettive nascite di Gesù Cristo e di Giovanni Battista è veramente qualcosa di intrigante e meraviglioso, non tanto per ciò il cristianesimo insegna e tramanda, quanto per i significati, i rituali e i miti antichi che il cristianesimo ha cercato di assimilare e forse anche di occultare per mezzo delle festività anzidette. Si badi che il simbolismo solstiziale è comune alle forme culturali tradizionali di ogni parte del mondo. Per esempio, il famoso glifo dello Yin-Yang e del Tao, quello circolare e a spirale con la metà chiara e quella scura ognuna contenente un punto dell'altra, è di evidente impronta solstiziale. Le due metà rappresentano la parte luminosa e quella oscura del ciclo annuale. La parte chiara cresce e raggiunge il suo culmine di manifestazione e di espressione di luce e calore, e in quel momento "nasce" un seme di buio, che poi gradualmente aumentando andrà a formare la parte tenebrosa dell'anno, fino al culmine di manifestazione del''oscurità e del freddo quando "rinasce" il seme della luce e così via. I due centri in cui rinascono gli opposti complementari sono i solstizi: d'inverno, il 21 dicembre circa, nel mezzo del buio e del freddo, quando ritorna la luce; d'estate, al centro della luce del caldo, intorno al 21 giugno, allorché si rinnova l'oscurità.



Quest'ultimo è il caso attuale: il solstizio d'estate. Se durante il solstizio invernale si celebra la riemersione della luce, dello yang, dello spirito - e ciò è abbastanza chiaro e comprensibile, essendo la trasposizione simbolica e interiore del punto di svolta del cammino solare, quando la quantità di luce giornaliera reinizia ad aumentare - che cosa, dunque, si festeggia o si auspica il 21 (o 24) giugno? L'oscurità, il buio? In effetti esiste tutta una parte della spiritualità e della ricerca interiore dell'uomo che tende alla rappresentazione "negativa" del divino, cioè come di qualcosa di cui non si può dire nulla, qualcosa su cui non si può concettualizzare, perché al di là dell'esperienza sensibile. Ciò è particolarmente evidente in alcune mistiche dell'oriente e dell'estremo-oriente come certo Buddhismo e il Taoismo, ma è presente anche nella Cabala ebraica, dove il divino è occultato dai "tre veli dell'esistenza negativa": è come dire che della natura della Realtà si può dire soltanto ciò che non è!



Per tornare al solstizio estivo, la rappresentazione di esso in chiave interiore è così abbastanza evidente: al culmine dell'esperienza umana, nel momento in cui tutto è luminoso, tutto è abbondanza, tutto è conosciuto, conoscibile e assimilabile come nel pieno rigoglio della natura estiva, proprio in quel momento è opportuno non fossilizzarsi in solide certezze, non cristallizzarsi nel potere raggiunto, ma aprirsi umilmente al "vuoto" ontologico, offrire la propria consapevolezza come una coppa pronta ad accogliere il Mistero, l'Ulteriore. Così come Giovanni il Battista, rispettato taumaturgo e santo all'apice della sua fama, dichiara di non essere lui stesso il Messia, ma di annunciarne soltanto l'avvento. Mutatis mutandis, nel significato interiore, ogni uomo all'apice della sua maturità deve potersi aprire a sviluppi ancora successivi e insospettati. Il solstizio estivo, dunque, significa apertura e ricettività, superamento del conosciuto, oltrepassamento dell'arroganza che spinge a fermarsi su ciò che si è già raggiunto e consolidato.

lunedì 19 maggio 2008

Il Vaticano e gli extraterrestri.


Il Vaticano ci ha recentemente informati che non esistono contraddizioni fra la possibilità di vita intelligente su altri pianeti e la fede cattolica. Non possiamo - dicono - porre limiti alla libertà di Dio (!), che può benissimo avere creato altri mondi e altre forme di vita. Anzi, aggiungono, anch'esse avrebbero diritto alla misericordia divina. I "fratelli" extraterrestri potrebbero non avere bisogno della Redenzione, essere vicini a Dio e in piena amicizia con il Creatore. Se invece fossero dei peccatori, la Pietà divina e la Provvidenza sicuramente si attiverebbero per aiutarli.

Fin qui la dichiarazione vaticana, lodevole e magnanima. Però, a mio parere, qualche problema c'è, ed è relativo alla figura e al ruolo di Gesù Cristo: secondo la dottrina cattolica, infatti, l'Incarnazione è unica e irripetibile: in tutti gli universi possibili, nell'indefinito e umanamente inconcepibile numero di galassie, di stelle, di pianeti, di cosmi, la Terra di duemila anni fa è l'unico luogo e l'unico tempo dove Gesù, il Figlio di Dio, si è fatto uomo! Qualunque sia la loro cultura, il grado di civiltà, anche molto diverso dal nostro, magari con caratteristiche fondamentalmente dissimili non solo dal punto di vista cognitivo ma anche fisico e biologico, dalle dichiarazioni vaticane si evince che sugli altri mondi non hanno avuto e non avranno mai il beneficio dell'Incarnazione divina - cioè il Logos che si mostra in una forma tangibile, visibile e vicina, perché Dio si è manifestato solo una volta nell'eternità e nell'infinità dei mondi, e l'ha fatto in Palestina. Forse, però, viene da auspicare, alcuni extraterrestri potrebbero avere la buona sorte di incontrare i terrestri e, dunque, venire a conoscenza dell'Evangelo. Se avessero una tale fortuna potrebbero venire finalmente cristianizzati e, se le diversità psico-biologiche glielo permettessero, sarebbero convertiti al cattolicesimo: in tal modo il Papa di Roma potrebbe fornire indicazioni di fede anche alle altre galassie. Purtroppo, anche così, essendo l'Universo vastissimo, saranno un numero incalcolabile le civiltà extraterrestri a non avere questa possibilità. E allora? Il Vaticano, come già ricordato, lodevolmente confida in tali casi nella misericordia del Creatore...

Viene da chiedersi: e se le forme di vita extraterrestri, per diversità biologiche, avessero una sessualità differente da quella umana, come si porrebbe la Chiesa? La condannerebbe come innaturale, oppure attesterebbe l'inferiorità di quelle creature rispetto a quelle fatte "a immagine e somiglianza di Dio", o addirittura troverebbe l'intervento del demonio in quella diversità sessuale? Naturalmente questo tipo di osservazioni costituiscono anche una facile ironia, e me ne scuso, però vengono abbastanza spontanee visto l'estremo antropocentrismo e l'assurdo geocentrismo delle affermazioni del Vaticano.

Non voglio certo offendere chi le condivide, ognuno deve credere e seguire ciò che ritiene plausibile: le mie riflessioni sono fatte in senso dialettico, per amore di ricerca. Personalmente, tuttavia, sono ammirato e sollevato dalle concezioni di ampio respiro di religioni come l'induismo e il buddismo che di Incarnazioni divine ne prevedono tante, in ogni tempo e in tutte le direzioni possibili, per aiutare tutti gli esseri senzienti in qualsiasi universo e spazio-tempo essi si trovino. Si, perché queste religioni accolgono già da migliaia di anni l'idea dell'indefinita molteplicità degli universi e dei mondi abitati, come pure la diversità delle forme di vita - tutte dotate della scintilla divina, della possibilità di redenzione e d'illuminazione e dell'opportunità di incontrare il Logos, lo Spirito, il Divino, in una forma tangibile e avvicinabile.

Leggere, per constatare ed eventualmente approfondire, la Bhagavad Gita induista e il Sutra del Loto buddista...

venerdì 18 aprile 2008

Riflessioni post-elettorali.


Ha vinto la conservazione, la Destra. Inoltre l'ala progressista si è, a dir poco, ridimensionata per ciò che riguarda la sua rappresentanza in Parlamento. Se quest'ultimo poi è in qualche modo lo specchio del Paese, bisogna allora dire che il nostro ha rinunciato a qualsiasi visione ideale, di quelle connesse con grandi propositi filosofici e sociali di riforma, di evoluzione. Di fatto non ci si crede più, prevale la disillusione e la delusione, e sembrano avere più senso - semmai - le fantasticherie sul benessere economico o, perlomeno, sul cercare di non perdere ulteriormente ciò che già si possiede. La libertà, così sbandierata in campagna elettorale, così presente nel programma e nel nome del partito di maggioranza del nascente Governo, non è certamente quella quella del Risorgimento, non è quella di Mazzini e Garibaldi, non è neppure quella socialista o quella dei tempi della rivoluzione americana - perché tutte queste coincidono con la lotta di rivendicazione dei diritti umani, con l'identificazione nei grandi obiettivi spirituali del cuore e della mente, quelli che tendono sempre a liberare da catene opprimenti e a sostenere l'uguaglianza, l'amore e la collaborazione fra gli uomini, al di là delle barriere culturali, nazionali, religiose, economiche. Quella libertà è qualcosa per la quale spesso è importante sacrificarsi, cercando di superare i propri limiti, le proprie chiusure. La mia impressione, invece, è che la libertà di cui si parla ora non sia quella degli individui, ma quella individualista, per la quale conta soltanto la conservazione e l'ampliamento del proprio possesso, del proprio ambito, del proprio potere personale. Non è la libertà di sacrificare i propri limiti per perseguire gli ideali dell'umanità, di uscire dal proprio piccolo io alla ricerca di un Grande Io, bensì è quella di non sacrificarsi affatto, erigendo magari ancora più barriere e preclusioni, per la paura di perdere il proprio possesso, la propria sicurezza, la propria mentalità. Qui di ideale c'è soltanto il proprio recinto, il perseguimento del proprio piacere, la gabbia nella quale ci si rinchiude per non essere trascinati via nel fiume della vita, nel grande mare dell'esistenza.

Queste mie osservazioni, a ben vedere, non sono una preclusione pregiudiziale verso la Destra, perché mi sembra che anche la Sinistra, qualora esista ancora, tende a risentire dello stesso abbassamento di livello ideale. Esprimendomi in un altro modo, potrei dire che sia Conservatorismo che Progressismo hanno perso l'idealità della Politica, della Democrazia - che invece sarebbe qualcosa di meraviglioso, che veramente potrebbe rappresentare la Libertà e non l'arbitrio. Ma ciò richiede molta umiltà e serietà, e queste sembra che siano venute a mancare - forse proprio perché oggi abbiamo bisogno di confrontarci, a livello collettivo, con il lato oscuro di noi stessi.

In definitiva, dunque, che cosa manca di essenziale, che cosa abbiamo perso? A mio parere non abbiamo più la fede, quella vera: la fede nell'Umanità.

martedì 4 marzo 2008

Considerazioni elettorali


Siamo davvero fortunati: stando alle promesse e alle anticipazioni dei maggiori schieramenti politici coinvolti nella prossima tornata elettorale, siamo sicuri che nella prossima legislatura - che vinca l'uno o l'altro - avremo aumenti di stipendi e pensioni, abbassamento delle tasse, riduzione o cancellazione dell'ICI, lotta all'evasione, più sicurezza, pulizia, sviluppo, servizi e organizzazione. Bene, dunque non dobbiamo preoccuparci di nulla: anche se dovesse vincere la coalizione per la quale non voteremo, otterremmo comunque i benefici sopra elencati, perché gli obiettivi politici e sociali - e perfino le strategie per realizzarli - sono pressocché indistinguibili da quelli della nostra coalizione, praticamente gli stessi!

Bè, a ben riflettere, su alcune tematiche - e soltanto su quelle - possiamo ancora riscontrare una differenza fra "destra" e "sinistra": sono quelle di tipo etico. Ecco, sì, la visione della famiglia, quale sia quella "naturale", sull'aborto, sulla sessualità, l'eutanasia, su queste cose notiamo opinioni e obiettivi diversi. Ancora abbiamo facoltà di scegliere! Almeno così sembra.

D'altra parte, mentre le tematiche sociali ed economiche sono lo specchio di una convergenza "ideologica" di tutti, perché tutti desideriamo - ovviamente - avere più soldi, sicurezza, benessere, libertà (semmai sarebbe necessaria una matura riflessione strategica per ottenerli e non una generica serie di fantasie "infantili"), su quelle etico-religiose notiamo invece soluzioni e ragionamenti differenziati e contrastanti, perché qui è implicata proprio la visione delle cose, dei perché, la concezione di base del senso della vita.

Inoltre, mentre le promesse di "benessere" fanno leva sul bambino che è in noi, sull'Es di freudiana memoria, per ciò che riguarda l'etica e la morale il confronto è con il Super-io, con il genitore interno. Poichè collettivamente, oggi, a mio parere siamo ancora immaturi, adolescenti, tale confronto è parecchio condizionato da paure, pregiudizi, timore di contraddire supposte autorità che pretendono di sapere la verità senza però offrire né una logica spiegazione filosofica delle cose, nè una sufficiente autonomia di coscienza ai singoli individui. D'altra parte, ripeto, ho l'impressione che collettivamente l'individuo non sia ancora adulto e maturo, e dunque è abbastanza scontato il ricorso alle predette autorità per sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Ritornando, dunque, alla politica e volendo interpretare la classica opposizione destra-sinistra come confronto fra conservatorismo e progressismo, direi che essa può applicarsi attualmente soltanto alla visione etica delle cose, perchè il resto - come già detto - appare troppo generico e spesso sovrapponibile fra uno schieramento e l'altro. Da questo punto di vista, in effetti, abbiamo una compagine conservatrice, il PDL, che mira a difendere i valori tradizionali della famiglia e dell'etica, includendo fra questi anche una certa concezione di "libertà" di tipo occidentale. La cosiddetta "Sinistra l'Arcobaleno" è senza dubbio eticamente progressista, puntando e aprendosi a nuove concezioni dei valori tradizionali - per la maggior parte ancora non del tutto definite e in fase di comprensione e ricerca. Il PD, a mio avviso, oggi rappresenta più propriamente il "centro", in quanto non nega nessuna delle due tendenze, tentando di contentare ambedue. Però anche questo è un esperimento, una ricerca, perché la mediazione può senza dubbio risultare in un dialogo costruttivo e trascendente le differenze come nelle intenzioni dei promotori, ma anche in una sorta di immobilismo a-decisionale. Gli altri partiti appaiono, francamente, pur nella loro legittima pretesa di autonomia, dei satelliti delle predette tre impostazioni.

mercoledì 6 febbraio 2008

Buon Anno del Topo della Terra!


Fra le tante stranezze che amo coltivare nella mia vita c'è questa: è mia attenta abitudine - ormai da molto tempo - festeggiare o celebrare, oltre a quello "normale", il Capodanno Cinese che, quest'anno, cade domani - 7 febbraio 2008. Questo Capodanno tradizionale mi piace molto, innanzitutto perché la civiltà estremo-orientale mi affascina e quindi sono portato a notare e sottolineare questo tipo di ricorrenze, ma anche perché trovo che il modo in cui la data viene determinata è molto saggio ed equilibrato: infatti tiene conto non soltanto del ciclo solare, come per il nostro Capodanno, ma anche del ciclo lunare! Ciò significa che l'inizio dell'anno è in perfetta sintonia Yin-Yang, viene rispettata la polarità maschile (simbolicamente il Sole) e anche quella femminile (simbolicamente la Luna). Vi pare poco? I 12 animali zodiacali, poi, si intersecano con le 5 fasi di mutamento elementale (Legno, Fuoco, Terra, Metallo, Acqua) a formare un ciclo completo di 60 anni (12x5). Il Topo è il primo dei dodici animali e, quindi, ne apre la successione. Come per tutti gli altri componenti dello zodiaco, di Topi ne esistono 5 a seconda della loro associazione elementale, e questo che entra domani, come già detto, è il Topo di Terra. Da ciò ricaviamo i seguenti concetti:

1. siamo all'inizio di un nuovo ciclo di 12 anni; quello precedente, iniziato nel 1996, si conclude oggi (ognuno ne tragga i significati che crede osservando la sua vita)

2. il Topo è proverbialmente noto per la sua intelligenza, per l'acume e la capacità di affrontare le difficoltà tramite il loro l'utilizzo. Inoltre è un animale "procacciatore", che tende all'appropriazione e all'accumulo di ciò che lo interessa o di cui ha bisogno

3. la fase elementale "Terra" si lega, nella tradizione cinese, al Centro, all'armonia, alla riflessione, all'ideazione, alla raccolta dei frutti.

Questi, dunque, gli aspetti augurali che da domani ci accompagneranno nel corso del 2008 e di una piccola parte del 2009: la possibilità di un reinizio, di un ritorno di circostanze favorevoli e di rinnovamenti che bisogna afferrare con intelligenza e lungimiranza, custodire e proteggere con cura - anche con l'attesa e il riposo; una certa stabilità raggiunta, un raccolto possibile di frutti precedenti su cui poter contare e da poter riutilizzare e ampliare.

Beh, è un augurio... alla maniera cinese!

mercoledì 9 gennaio 2008

Emergenza rifiuti.


Scusate se provo a simbolizzare... o, piuttosto, ad interpretare gli eventi cercando di ritrovare dei significati sottostanti, retrostanti, magari soprastanti, giusto per non accettare passivamente il senso e il luogo comune. Beh, ci provo.

Credo che i rifiuti abbiano nelle antiche culture umane, nei sogni, nei miti, un significato non del tutto negativo: si tratta di qualcosa che non serve, che dev'essere scartato per consentire la vita, una purificazione dalle scorie e dal superfluo; tuttavia queste scorie possono e devono essere riciclate, sono nutrimento per qualcosa d'altro, sono humus fertile, terra ricca. Così è in natura. Così non è nel nostro mondo artificiale.

Oggi le scorie sono abnormi, pericolose, intensamente velenose. Possono distruggere. Le tecnologie che abbiamo per trasmutarle sono forse altrettanto dannose e mefitiche, e noi siamo soltanto degli apprendisti stregoni cui il gioco può sfuggire di mano. Le nostre scorie sono diventate il male.

Tutto ciò che viene rifiutato diventa il male, il nemico, proprio perché non se ne ha cura, perché lo si considera diverso da sé. E' così per la nostra ombra interiore, cioè per quelle parti di noi che riteniamo inutili o brutte, di cui non vogliamo prendere coscienza, che rifiutiamo per qualche motivo. Però se non dialoghiamo con esse, rischiamo soltanto di accantonarle, di ammucchiare dei potenziali, delle forze, che potremmo un giorno non essere più in grado di gestire.

Nulla va distrutto, non possiamo semplicemente dimenticare ciò che non ci piace. Ogni parola, pensiero o azione hanno il loro posto e valore nella vita, hanno la loro conseguenze, che non svaniscono semplicemente perché ce ne siamo scordati. E' questo il Karma, la Legge di Causa ed Effetto.

Perché vogliamo accantonare o rimuovere delle cose? Perché ci risultano difficili, sgradevoli, perché riteniamo di esserne superiori. Noi siamo puliti, pensiamo di esserlo, quindi la sporcizia non ci riguarda. Se ne occupi qualcun altro. Forse, allora, l'emergenza rifiuti è un campanello d'allarme dell'intimo, del profondo. Pensiamo che qualcun altro debba occuparsi delle nostre scorie e che, una volta eliminate, non ci riguardino più. E invece tutto ci riguarda, ogni aspetto della vita, di noi stessi e degli altri. Ne siamo responsabili come siamo anche responsabili dello stato del mondo, che è una unità indiscindibile.

"Mondo" significa pulito, purificato, ma affinché sia davvero tale ci vuole una rivoluzione, una trasmutazione del cosiddetto elemento negativo, oscuro, dell'ombra, del rifiutato. Si può fare soltanto prendendosene cura, accogliendolo, facendosene attivamente responsabili.

Non credo esista un'altra strada.