venerdì 31 ottobre 2008

"L'angoscia di Marlon."


Propongo qui di seguito un raccontino che ho scritto in questi giorni rispondendo ad un mio bisogno di riflessione: al suo interno si celano - piuttosto trasfigurati - eventi reali, veri interrogativi e risposte utili a me stesso. Essendo, comunque, il blog un "luogo" virtuale di condivisione, mi fa piacere offrirlo alla lettura.

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La notte era buia e tempestosa; ma questo lo si può facilmente immaginare confrontando questa storia con altre dello stesso genere. In quel pub, laggiù in America, alla fine dell'Hollywood Boulevard - non proprio sulla strada principale, ma nell'ultimo vicolo sulla sinistra - Marlon stava cercando di ingoiare quanti più bicchieri di buon bourbon poteva. Si era convinto che nel fondo di ogni bicchiere - quel fondo di vetro spesso, luccicante dopo ogni bevuta - avrebbe trovato il rimedio per il proprio sconforto; ma la soluzione tardava ad arrivare ed era già molto tardi. Il barista spazientito, avvezzo ai clienti che la tirano per le lunghe - curvi sul bancone con lo sguardo perso, decisi a stemperare il proprio dolore nell'alcol - cominciava a manifestare al suo unico avventore dei segnali eloquenti per indurlo ad andarsene: in effetti voleva chiudere perché nel locale non c'era più nessuno, fuori faceva freddo e non vedeva l'ora di tornarsene a casa a guardare la TV e mangiare qualcosa che desse un sapore alla propria serata. Però quel tipo era piuttosto difficile da mandar via: ermeticamente chiuso nel suo riserbo, sembrava incollato allo sgabello, inamovibile; e poi lo conosceva bene, era un attore famoso che egli stesso aveva visto recitare in parecchi splendidi film. Lo aveva ammirato in ruoli forti e decisi, ma adesso gli dispiaceva osservarlo in quello stato e non sapeva che cosa fare. Fortunatamente in quel momento un altro avventore entrò scendendo le anguste scale del bar e lo distolse dall'imbarazzo: era un uomo con un impermeabile chiaro allacciato fino al collo per il freddo e un cappello ad ampie falde che ne manteneva il viso misteriosamente in ombra. Il nuovo arrivato fissò per un momento Marlon, poi gli si sedette accanto e si accese una sigaretta, in silenzio e discretamente, in attesa. Passò qualche minuto prima che Marlon lo notasse e, con voce strascicata, da ubriaco, lo apostrofasse: "Humphrey, che cavolo vuoi? Lasciami in pace."

"Marlon, qual è il problema?" disse l'altro, scrutandolo con attenzione fra le volute di fumo azzurro della sua sigaretta.

"Ecché, sei la mia coscienza? Il mio problema è affar mio. Che c'entri tu?"

"Beh, sei ingiusto Marlon. Ti ricordi quella volta che..."

"Okay, okay!" si affrettò a interromperlo Marlon prima che egli cominciasse a rievocare gli episodi della loro amicizia e della reciproca solidarietà, "Vabbé, ecco, stavolta è diverso: nessuno può essermi d'aiuto, è una cosa che devo risolvere da solo."

"Può darsi", Humphrey ammise, "e non voglio essere invadente. Tuttavia parlarne può essere d'aiuto. Perché non mi racconti tutto dall'inizio? Naturalmente, come sai, puoi contare sulla mia discrezione."

Marlon alzò il capo e lo guardò dubbioso, poi scrutò il bourbon per cercarvi ancora dentro una risposta, non la trovò e, allontanando il bicchiere con la mano, disse esitante: "Cecil B., il problema è Cecil B..."

"Cosa? Il tuo produttore e regista?" Humphrey era piuttosto sorpreso, perché fra Cecil B. e Marlon c'erano sempre stati buoni rapporti.

"Proprio lui, o piuttosto, il suo nuovo film, quello in cui dovrei essere il protagonista!" L'attore sembrava sinceramente disperato.

Humphrey soffiò lentamente una spirale di fumo e scrutò l'amico con attenzione: "Sei impazzito, Marlon? Hai un ruolo in un nuovo film diretto da Cecil, e ti sei ridotto in questo stato?"

Marlon fece il broncio e sussurrò a bassa voce, quasi vergognandosi: "Non mi piace il personaggio..."

"Cosa?" ripeté Humphrey sempre più stupito: sapeva che il suo amico attore amava calarsi in ruoli diversi, anche insoliti, difficili, considerando una sfida positiva il riuscire a farli propri, di qualunque tipo essi fossero.

"Non mi piace", sbottò improvvisamente Marlon, facendo trasalire il barman e puntando con veemenza il dito contro il suo interlocutore, "No! Per niente! Non mi piace, o piuttosto, non sono d'accordo! Neanche un pò! Non lo sono ASSOLUTAMENTE! Ho passato la vita a rivendicare i diritti degli indiani e delle minoranze. Mi ci vedi a interpretare la parte di un sudista, un negriero, uno schiavista, un... un...?"

L'uomo con l'impermeabile, a quel punto, non poté frenare una risata divertita e, interrompendo lo sfogo dell'amico, ribatté: "Stai scherzando? Per tutte le Ombre Rosse di Hollywood! Non dirai sul serio! Ti spaventa forse fare la parte del cattivo? Sai quante volte io stesso ho interpretato terribili gangster e simili?"

"Lo so benissimo, e non è questo il problema" sibilò freddo e risentito Marlon, aggiustandosi addosso il giubbotto nero e riprendendosi parzialmente dalla sbronza, "il fatto è che non stiamo parlando di una parte da cattivo. No. Quel personaggio, nell'ambito del racconto del film, è uno... buono, buonissimo. Cecil B. così l'ha concepito. Anzi," l'attore era sempre più visibilmente sobrio,"quel tipo, il protagonista, vuole salvare il mondo rivalutando il passato sistema di vita, considerandolo ispirato a principi morali validi..."

"Vuoi dire che il messaggio di Cecil è che bisognerebbe ritornare all'epoca prima della Guerra di Secessione, prima di Lincoln, prima di tutto quanto sta alla base della nostra attuale libertà, della nostra ricerca di un'era di vera democrazia...?" Humphrey era esterrefatto. Non era facile sorprenderlo, essendo piuttosto smaliziato e pratico di tutte le questioni, ma questa volta la sigaretta gli cadde dalle dita.

"Libertà?", Marlon era amareggiato, "Cecil B. afferma che la vera libertà stava in quella società già perfettamente strutturata, antecedente al 1861, che sia pure con divisioni di classe e manodopera schiavista, garantiva ricchezza e benessere per tutti, scambi di materie prime - cotone o altro - con l'Europa, e una giustizia amministrata da saldi e collaudati principi morali e religiosi. Dice che gli schiavi, siano stati essi negri o aborigeni americani, erano trattati con umanità - in quanto facenti parte della famiglia che li impiegava come forza lavoro. Dice anche che, dopo la decantata abolizione della schiavitù, in realtà essi continuarono a far parte delle classi inferiori, ad essere sfruttati, e in molti casi la loro situazione peggiorò notevolmente - oltre a quella della società nel complesso, priva di sicurezze, in balia dei poteri economici, dell'immoralità dilagante, di ogni moda e degli imbonitori politici e religiosi di turno."

Humphrey si accese con calma un'altra sigaretta, emise alcune spirali fumose e, poggiando con un gomito sul bancone del bar, si rivolse per la prima volta al barman chiedendo: "Amico, che te ne pare?"

Questi, un po' disorientato per essere stato coinvolto in quel discorso che non avrebbe neanche voluto ascoltare, rispose in fretta: "Io? Beh, non lo so. Non mi intendo di politica." Avrebbe volentieri aggiunto: "voglio solo tornarmene a casa", ma non lo fece, trattenendo a stento l'impazienza.

Marlon, che nel frattempo aveva ripreso il bicchiere bevendone un sorso, osservò: "Già, sembra proprio politica, ma Cecil B. dice che non lo è. Lui dice che è filosofia. Cita Platone. Parla del mondo delle idee, del tempo in cui esso era evidente agli uomini ed esistevano solidi e indubitabili principi religiosi su cui basarsi."

Humphrey sorrise: "Beh, in effetti all'epoca di Platone la schiavitù c'era eccome, ed era parte integrante di quel tipo di società. Platone non l'ha mai messa in discussione, ma ha cercato di applicare in politica la sua filosofia. Semmai" e il suo sorriso si fece più ampio e ironico, "mise in discussione gli attori e ogni forma di teatro e rappresentazione! Secondo lui la finzione scenica era comunque finzione, falsità, menzogna capace di corrompere gli animi nell'anelito alla suprema Verità."

"Scusate", interruppe il barista, "io sono una persona ignorante di certe cose. Però ho sentito dire che all'epoca di questo... Platone, era ammessa la pedofilìa, in quanto fra un anziano Maestro e un giovanissimo discepolo poteva esserci un... affetto, diciamo, insomma..."

"Insomma basta!", Marlon stava veramente perdendo la pazienza, "Qui si divaga, ci si impegna in disquisizioni teoriche! Io, invece, ho un problema reale, urgente! Come posso sposare e interpretare un testo che inneggia a ideologie passate che non condivido? Come posso rappresentare un personaggio che testimonia con forza un modo di vedere che non mi appartiene, proponendo così ai miei spettatori qualcosa che a loro sembrerà io sottoscriva moralmente?" Finì il bicchiere di bourbon e aggiunse con più calma: "Ragazzi, non so se mi capite, è una questione di coscienza."

"Scusi ancora" disse il barista, "sa, io La capisco, ho ascoltato un mucchio di storie, qui, dai miei clienti. Spesso le persone si sentono in un vicolo cieco, senza una via d'uscita, e ne parlano con me mentre tentano di affogare nel whisky. E' un errore, c'è sempre una via d'uscita, e io cerco di farglielo notare, di farli ragionare. Per esempio, Lei, che asserisce di avere un problema morale con quella parte in un film, dica: non potrebbe semplicemente rifiutarla? Se è davvero un fatto di coscienza! Mi perdoni, sa, magari non ho compreso bene e non vorrei offenderla, ma visto che il suo amico mi ha introdotto nella discussione..."

"Non preoccuparti, hai ragione, dici bene: quella sarebbe una soluzione semplice ed efficace" ammise Marlon stancamente, "ma il fatto è che Cecil B. ci tiene a quella storia e, soprattutto, alla sua idea filosofica: è un sacco di tempo che me ne parla e ci lavora instancabilmente. Io voglio bene a Cecil, e vorrei farlo contento." Guardò gli altri due negli occhi e poi aggiunse: "Inoltre, non so come dire, ma... Cecil, a suo modo, ha gli stessi miei ideali: pace, comprensione, rispetto, amore... Certo, in qualche modo li abbiamo tutti, sempre quelli, o diciamo di averli. Ma Cecil B. è uno serio, che li persegue senza risparmiarsi. Ecco, non sono d'accordo con lui sull'analisi delle cause, forse neanche sui mezzi e perfino su certi obiettivi, ma ne condivido interamente e senza riserve il cuore!"

"Allora, bello mio, il tuo problema è inconsistente, totalmente risolvibile". Humphrey fece un cenno al barman per avere anche lui il suo bicchiere di bourbon. Adesso aveva capito come aiutare l'amico e sentiva il bisogno di festeggiare. Sorseggiò la bevanda riflettendo sulle parole da usare, cercò di rammentare qualcosa, e poi disse:"Te lo ricordi anche tu, Marlon, quel film - in realtà mai realizzato - che Rodolfo progettava alcuni anni fa. No? Lui voleva fare la versione cinematografica di un poema indiano: sai, gli piaceva quella roba esotica. Quel poema narra di un condottiero che, prima di una sanguinosa guerra, si rivolge al suo Maestro perché non vuole combatterla. Gli dice che la guerra è una cosa terribile, che produce lutti e sofferenza a tutti e che è angosciato da questo pensiero, che non è morale combattere e la coscienza gli rimorderebbe a uccidere tante persone. Il Maestro, che gli indiani pensano sia anche Dio, una sua incarnazione, gli risponde che nella realtà la morte non esiste, che nessuno perirà veramente, e che lui come condottiero è un guerriero: quindi è suo dovere recitare la sua parte fino in fondo. The show must go on!" Humphrey tacque, accertandosi che quanto appena espresso penetrasse in profondità nella mente dei suoi interlocutori. Poi riprese: "Così io dico a te: sei un attore. Recita! E' il tuo dovere, il tuo impegno. Nessuno spettatore sarà mai veramente danneggiato da quanto potrai esprimere in un film: le persone di solito elaborano secondo la propria testa! Al massimo avrai fornito loro uno spunto di riflessione. Inoltre, riguardo a Cecil, stando a quanto tu stesso dici, ne percepisci il cuore, il suo intendimento, e lo trovi buono. Bene, è quel cuore che devi cercare di rappresentare, non le opinioni - né le tue né le sue - ma soprattutto il cuore, ed è ciò che veramente conta. "Detto questo spense la sigaretta nel posacenere, incrociò le braccia soddisfatto, fissò l'amico e attese. Il suo sguardo, in ombra sotto la falda del cappello, era divertito e penetrante.

Marlon ristette per un pò silenzioso, riflettendo, poi finalmente la sua espressione s'illuminò di un sorriso ampio e senza più dubbi. "Grazie" disse commosso al suo amico e al paziente barman. Poi, rendendosi improvvisamente conto di essersi troppo concentrato sul suo personale disagio e rivolgendosi a quest'ultimo: "Ragazzo, è tardi e credo che tu debba tornartene a casa. Scusami per averti impegnato così a lungo. Però devo chiederti un ultimo favore." Sorrise ancora, mentre cercava in tasca i soldi per saldare il conto. "Fammi un caffè. Bello forte."

2 commenti:

  1. Carissimo Maurizio,

    hai talento di scrittore e di narratore, arrivato a metà del tuo scritto il lettore viene preso dalla tensione dello svolgimento della trama, ansioso di arrivare alla "soluzione" del caso.

    Bellissimo l'incontro tra Marlown e Humphrey, il loro cameratismo, il loro ritrovarsi fuori dai loro palcoscenici.

    Decisivo il tuo inserimento del racconto esotico, quello del guerriero condottiero con la crisi di coscienza. Il nostro dovere, il dovere di ogni singolo essere umano, quello di imparare l'arte e di non metterla da parte ma invece di usarla per affrontare il successivo gradino offerto dalla materia, dal mondo che ci avvolge e cerca di far continuare all'infinito il teatrino della vita separata.

    Si, perchè la materia, questa grande protagonista dei nostri giorni (oggi tanto più di ieri) è strumento utile, cangiante, intrigante: il solo piccolo dettaglio non insignificante è che non bisogna promuoverla ad altro che uno strumento utile, non lo scopo unico e finale.

    Lo avranno capito quei dirigenti di cuori e di menti che hanno pensato bene di custodire i loro tesori entro montagne di lingotti dorati?

    Marco

    postato da Marco il 02/11/2008 00:17

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  2. Carissimo Marco, grazie per i complimenti: sono contento che il mio raccontino ti sia piaciuto! Mi pare anche che tu ne abbia colto significati profondi, forse ulteriori rispetto a quelli che avevo inteso esprimere - ma comunque in relazione. Ad esempio non so se il conflitto dei nostri giorni sia propriamente fra "materia" e "spirito", anche se può senz'altro essere espresso in questi termini. Io direi piuttosto fra "inconsapevolezza" e "consapevolezza"...

    postato da Maurizio il 04/11/2008 09:01

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