mercoledì 8 novembre 2006

Trick or treat.


Voglio qui prescindere dall'approfondimento sulle origini della festa di Halloween, e anche sul suo supposto essere meno valida per noi italiani perché "importata" (la cultura di tutti i paesi è infarcita di importazioni, di elaborazioni, di scambi con altre tradizioni); neppure voglio argomentare sull'opinione che sia un evento artificioso ed esclusivamente "commerciale" (cosa oggi non lo è?). Vorrei però far notare che questa festività si unisce a quella cristiana di Ognissanti: anzi, è stata certamente rielaborata dal cristianesimo - com'è avvenuto in moltissimi altri casi - e reinterpretata nel suo calendario, mentre la celebrazione di partenza è certamente molto più antica e in relazione con il ciclo stagionale. Nel periodo autunnale, infatti, la natura cala - per così dire - nel buio e nel freddo: le ore di luce si riducono sempre di più, il brutto tempo e il freddo si fanno vieppiù incalzanti. Il simbolismo correlato, naturalmente, è quello della morte, del disfacimento della vita fisica e della sua manifestazione. La morte è un evento misterioso, sul quale l'uomo si è sempre posto domande, sul quale ha trovato risposte anche di elevatissimo ordine filosofico e spirituale. Nelle culture agricole, probabilmente, veniva sottolineata la necessità di affrontare nel miglior modo possibile la fase oscura dell'anno solare e la disgregazione dell'energia della terra, esorcizzandone gli aspetti inquietanti e incoraggiando a preparare e attendere un rinnovamento che, certo, sarebbe venuto. Il periodo di ottobre-novembre, allora, la festa di Ognissanti e dei Morti, rappresentano una Porta stagionale e simbolica, un'apertura dimensionale attraverso la quale si entra in contatto con l'Oltre, con la Tomba, con il Mistero. Per questo possiamo vedere le tradizionali rappresentazioni di spiriti, streghe, folletti, di zucche come terrifici teschi contenenti luci fatue e inquietanti. In questo modo possiamo entrare in contatto con l'Altrove, con il Buio, rendendocelo simpatico, familiare, divertente, provando un brivido piacevole anche per la paura che ci suscita. La locuzione tradizionale per i paesi anglosassoni "trick or treat (scherzetto o dolcetto)" pronunciata dai bambini mascherati da zombi o simili, è eloquente: sicuramente ripropone antichi rituali nei quali si offriva cibo agli spiriti dei morti per placarli, per renderseli amici, per attraversare la Soglia Annuale dell'Altrove con fiducia. Il punto centrale di tutto ciò è il desiderio di blandire i morti con doni e offerte, che nelle varie tradizioni molto spesso sono in forma di cibo. La nostra oblazione di fiori nei cimiteri potrebbe essere il residuo di un primordiale dono di frutta, fiori, cereali, acqua e altro, come se i defunti dovessero e potessero essere alimentati. Freud osservò che rispetto ai trapassati l'uomo ha un senso di colpa insopprimibile che cerca di esorcizzare e tenere sotto controllo: sentimento colpevole generato forse dal fatto stesso di essere vivi, perché invece altri sono morti al nostro posto - una sorta di inconscio "mors tua vita mea" di tutti gli esseri viventi. In effetti vivere significa anche affermare la propria esistenza a dispetto di quella degli altri: vivendo si uccide, lo si fa continuamente, respirando, muovendosi, reagendo alle malattie e ai fattori avversi rappresentati da altri organismi biologici e, soprattutto, alimentandosi. Da ciò verrebbe l'idea che ai morti manchi soprattutto il cibo, proprio in quanto affermazione positiva su altri esseri - quelli dei quali ci si ciba. I defunti, dunque, sarebbero spiriti affamati. Affamati, in sostanza, di vita. Ecco perché fornendo loro del cibo vogliamo appagarli, dare loro l'essenziale, quello di cui hanno bisogno. Da qui anche la rappresentazione mitica dei vampiri, anch'essi spiriti, zombi, affamati di sangue, cioè ancora una volta di vita. Quanto finora affermato, tuttavia, descrive soltanto un aspetto della questione del rapporto vivi-morti, quello forse più primitivo, viscerale, quello meno evoluto e cosciente. Esistono altre concezioni più consapevoli e filosoficamente più interessanti e, forse, più vicine alla realtà delle cose. Secondo le dottrine orientali, particolarmente quelle buddhiste (e sappiamo quanto il buddhismo si sia interessato della morte e dello stato-intermedio fra il trapasso e la successiva rinascita), il punto essenziale dello stato post-mortem è che in esso non è possibile una crescita evolutiva, che invece può avvenire durante l'esistenza manifesta. L'idea è che facendo esperienze, incontrandosi e scontrandosi con eventi esterni all'io, la coscienza viene messa alla prova, viene spinta a mutare, a evolvere. Dopo la morte, invece, non essendoci questo incontro-scontro con la dimensione fisica-esteriore, è possibile soltanto la rielaborazione delle esperienze occorse durante la cosiddetta "vita": rielaborazione che, però, può essere più o meno efficace, più o meno risolutiva ai fini della chiarezza raggiunta, della comprensione di quanto è accaduto nel corso della vita e del suo significato per la successiva evoluzione individuale. Il discorso è certamente lungo e complesso, ma possiamo trarre una conclusione: il significato più profondo dell'offerta ai defunti è quello simbolico connesso con il nutrimento; come se, donando il cibo, si auspicasse per loro l'acquisizione completa del nutrimento coscienziale contenuto nelle esperienze avute. Esiste anche un possibile contesto interpretativo tutto individuale: i defunti rappresentano le nostre esperienze concluse, le parti di noi che sono morte, che sono mutate, che sono - per così dire - calate o tornate nell'inconscio. Se, però, in esse c'è qualcosa di irrisolto, dei contenuti repressi o rimossi, possono per compensazione avere bisogno di attenzione, averne fame, richiederla con insistenza. Questo tipo di domande da parte dell'incoscio, se inascoltate, possono diventare pericolose - in proporzione diretta con il grado di rimozione e di oblio con i quali si vuole relegarle lontano dalla coscienza. Sono pericolose perché possono vendicarsi, cioè portare a degli squilibri della personalità interferendo con la vita cosciente, ottenebrandola. Nel significato individuale, dunque, offrire cibo ai morti significa regalare attenzione alle parti di noi irrisolte, essenzialmente perché non rese consapevoli nel senso alto, anche spirituale, del termine...

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