venerdì 9 dicembre 2005

I mistici, il vuoto e il pieno.


Credo di aver notato una cosa: i mistici appartenenti ad ogni religione (per mistico intendo non quello che concettualizza soltanto, bensì chi sperimenta, chi ha un'esperienza interiore), quando cercano di descrivere quello che hanno percepito nella profondità di sé stessi e della vita, utilizzano termini che - in un modo o nell'altro - sono sempre riconducibili all'idea di 'vuoto' oppure di 'pieno'. Mi spiego con un esempio, semplificando molto e sicuramente commettendo imprecisioni perché le differenziazioni non sono così nette come le prospetto, ma è solo per far capire ciò che intendo: nella mistica cristiana e non soltanto lì, la visione filosofica-religiosa prevalente, quella di base, sembra incentrata sull'insufficienza dell'uomo, sui limiti più o meno invalicabili della sua costituzione, sulla povertà e sulla vuotezza. Chi partendo da questa concezione ha un'esperienza del Divino, normalmente lo descrive come una Presenza, un 'Pieno', una 'Città Celeste', una Luce, un qualcosa o qualcuno in grado di 'colmare' o compensare la sua sensazione di mancanza e di esilio. Esempio opposto: in Cina, in un certo periodo storico, la visione prevalente dell'uomo e del suo mondo era quella di un Cosmo perfettamente regolato, dove ogni cosa aveva il suo posto e tutti partecipavano della 'divinità' del Cielo e della Terra. L'etica era raffinata e complessa, la costruzione sociale molto elaborata, degna di una società e di una cultura millenarie. Ebbene, i mistici di quel periodo diedero vita ad una corrente religiosa, il taoismo, basata sull'annullamento di ogni concettualizzazione, sul 'vuoto' della mente e del pensiero verbale, sull'eremitaggio e l'isolamento da una società avvertita come eccessivamente ordinata e moralista. I primi taoisti costruirono un'etica del 'disordine', della spontaneità, della naturalezza, del disimpegno sociale, dell'oscurità salvifica, della negazione liberatoria. Forse tutto ciò ha una spiegazione: il Divino rappresenta ciò che ci trascende e - al contempo - ci completa. Per questo motivo, scavando nelle profondità di sé stesso, il ricercatore interiore scopre una sorgente che lo vivifica fornendo una compensazione al suo atteggiamento razionale, costringendolo quasi a fare esperienza di ciò che la sua mente intellettiva aveva accantonato. Il buddhismo, in questo, mi sembra molto saggio: con la sua 'Via di Mezzo', con il frequente uso di paradossi in cui vengono identificate realtà apparentemente contrarie, mi sembra tenda a non fornire una definizione unilaterale del Divino, della Legge o, comunque, non una definizione che fondi su termini contrapposti. Anzi, poiché la nostra esperienza di esseri umani è duale, il buddhismo tende a prospettare una Realtà non dualistica, ma unificante tutte le opposizioni polari. Un'ultima osservazione, forse un pò bizzarra, frutto delle mie fantasticherie interpretative: Dio, la Legge Mistica, è effettivamente un Vuoto dal punto di vista del pensiero, di cui rappresenta il limite, la pacificazione e il trascendimento. E' un Pieno, invece, per il sentimento, per il desiderio profondo, per l'emozione.

1 commento:

  1. Così è anche il cuore dell'uomo: vuoto, quando lo riempie di cose che servono solo a lui (ossia di cose inutili!), e pieno quando lo svuota dalle cose sterili per dar posto a Dio e agli uomini, ovvero all'amore!
    postato da pattialessio il 30/12/2005 14:19

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