giovedì 28 giugno 2007

Vacanza.


L'etimologia di "vacanza" è la stessa di vacante, dal latino vacare e vacuus, vuoto. Si tratterebbe, dunque, di un periodo - quello della vacanza - libero da impegni, per lo meno quelli consueti, libero dal lavoro, oppure da altro in relazione con le abitudini della vita quotidiana. Parliamo, dunque, di una interruzione, di una sospensione dell'attività o di uno specifico tipo di attività, insomma di relax. Secondo quanto mi sembra di osservare, però, non è tanto facile concedersi una vacanza che lo sia veramente. Ho l'impressione che spesso durante questi periodi di svago il rilassamento non sia così immediato, e il "vuoto" non sia facile da praticare: si finisce con il riempire più che con lo svuotare, e addirittura ci si stressa proprio come si fa di solito nella vita normale. Per esempio, in vacanza si può eccedere nelle attività, nell'animazione, oppure si va insieme ad altre persone con le quali, invece di trovare un momento di distensione, si ripropongono tensioni, piccoli litigi o frizioni interpersonali che si pensava di lasciare finalmente alle spalle. Paradossalmente talvolta si cercano spiagge o ritrovi affollati, e magari ci si impegna nel traffico proprio come a casa! Anche se, in qualche modo, si riesce a trovare una situazione riposante, distensiva, senza impegni particolari, può avvenire che si sia incapaci di apprezzarla, e il vuoto diventi oppressivo, il silenzio risulti disperante, la mancanza di stimoli venga ad essere come un incubo dal quale non si vede l'ora di fuggire. Il fatto è che il "vuoto", anche quello delle vacanze, è simbolicamente - nel profondo - come una morte. In fondo se ne ha paura. Dopo aver tanto desiderato una pausa, la si riempie con ogni sorta di cose per evitare di fermarsi davvero; oserei dire: per non rimanere soli con sé stessi. C'è una paura dietro tutto ciò, una sorta di angoscia.

Eppure la vacanza è una cosa meravigliosa, rigenerante, durante la quale si può ritrovare l'essenziale, recuperare valori, essere più sé stessi. Se la si condivide con altri può essere rasserenante. Se la si fa con la persona con la quale si condivide la vita, è possibile finalmente rigenerarsi insieme, oppure insieme ritrovare la spensieratezza, la scoperta di nuovi luoghi, di antiche dimensioni. La vacanza è reintegrativa, è una grande benedizione, un beneficio possibile per molti soprattutto del mondo di oggi, ma non è scontato e non va sprecato. In realtà dobbiamo reimparare a ringraziare, ad apprezzare le possibilità che ci vengono offerte, a valorizzare. Però non è possibile farlo se stiamo male, se viviamo senza conoscere noi stessi, portandoci delle ferite insanabili nel cuore, immersi in una sottile o evidente angoscia dalla quale sappiamo soltanto fuggire.

Sto dicendo in fondo questo: che per avere delle vacanze soddisfacenti e che servano al loro scopo... bisogna star bene, avere già - prima di tentare di rilassarsi - un buon equilibrio, uno stato vitale alto, essere abbastanza distesi. Sembra un paradosso (o magari sembra ovvio) ma per riuscire a stare meglio... bisogna già vivere bene, cercando di trovare armonia ogni giorno, nella nostra vita quotidiana e con gli altri, sia nella psiche che nel corpo, ricercando ogni giorno un "vuoto" rigenerante e liberatorio, uno spazio che ci riconduca a noi stessi.

lunedì 18 giugno 2007

Catastrofi ed ecologia della mente.


Traggo la seguente citazione da un libro di Paramahansa Yogananda che sto rileggendo in questi giorni. Il grande Yogi indiano, in un suo discorso tenuto nel 1937 in America, fa un riferimento alle terribili inondazioni verificatesi a Louisville e nelle zone circostanti all'inizio di quell'anno e aggiunge: "Le vibrazioni dei pensieri e dei sentimenti di migliaia d'uomini uccisi nei combattimenti in Spagna hanno causato i cambiamenti atmosferici che sono responsabili di queste alluvioni e di altre catastrofi in tutto il mondo. La guerra genera vibrazioni di male che alterano l'equilibrio e l'armonia di tutta la natura, causando catastrofi "naturali"." ("L'eterna ricerca dell'uomo" - Astrolabio, pag. 41). A partire dal luglio 1936, infatti, era iniziata la sanguinosa guerra civile di Spagna che avrebbe condotto alla vittoria di Franco tre anni dopo e Yogananda, quindi, la cita nel suo discorso.

La cosa mi ha fatto riflettere: i disastrosi cambiamenti climatici sono generati - egli afferma - dalla sofferenza dell'uomo, dai suoi pensieri negativi di odio, di paura, in breve dalla violenza e dalla guerra! Oggi, in relazione ad analoghi eventi naturali, cerchiamo la spiegazione nel comportamento scorretto e anti-naturale dell'uomo, cioè attribuendo all'uso di sostanze chimiche, alle fonti energetiche e altro la colpa del surriscaldamento, dei disastri, eccetera. Va detto che qualche scienziato, come spesso avviene, tende a sottovalutare ritenendo che in definitiva non ci sia prova dell'eccezionalità di certi eventi, che necessiterebbero ulteriori studi, statistiche e via dicendo, e che i mutamenti del clima si sono sempre verificati in risposta a cause interne allo stesso ecosistema, eccetera. In sostanza, comunque, la visione dei mutamenti climatici e delle possibili cause rimane sul piano meccanicistico, fisico, chimico, biologico. Di solito non se ne da una spiegazione… psichica!

Eppure, già da qualche tempo, in occidente è nata la “psicosomatica” e c’è una certa accettazione da parte della scienza dell’influenza che la psiche può avere sul corpo, sulla salute e sulla malattia. Se, per analogia, pensassimo al pianeta Terra come ad un unico grande organismo, forse potremmo davvero ipotizzare che la psiche collettiva degli esseri viventi che lo abitano possa avere influenza sulle caratteristiche fisiche e climatiche dell’ecosistema! Ad esempio le guerre in Afghanistan e in Iraq, come i conflitti Israelopalestinesi e altri, porebbero aver causato i devastanti Tsunami nel sud-est asiatico e l'Uragano Katrina negli Stati Uniti! Se ciò fosse vero, ed è per lo meno plausibile, ognuno di noi, ogni singolo individuo, potrebbe contribuire alla salute generale e all’armonia sul pianeta non soltanto attraverso comportamenti ecologici e controllando gli sprechi e i consumi, ma anche cercando di lavorare sul proprio benessere interiore, sulla pacificazione del cuore e della mente, sulla compassione, sul rispetto e sull’amore. Tutto ciò somiglia molto a ciò che sempre hanno detto e dicono le religioni. Con una differenza: non bisogna essere “buoni” per compiacere un qualche Dio, per rispettare le Sue regole morali o per andare in Paradiso in un lontano futuro, bensì per stare meglio tutti qui ed ora, per contribuire attivamente a realizzare un mondo migliore. Forse è la stessa cosa, ma personalmente trovo che espressa in questa forma l’etica risulti più libertaria e più responsabilmente consapevole…