martedì 17 luglio 2007

Non c'è più religione?


Come già qualche volta ho raccontato o accennato nei miei Blog, condivido con un gruppo di amici (e non solo) un certo tipo di ricerche "interiori", per le quali ci incontriamo e sulle quali discutiamo anche con opinioni divergenti. I "padroni di casa" di questo gruppo, i nostri gentili ospiti, ci hanno proposto nella scorsa riunione "estiva" due sollecitazioni alla riflessione scritta: una frase di Karl Jaspers e una versione filmata della commedia di Pirandello "La ragione degli altri". La frase di Jaspers è la seguente: "La storia degli ultimi secoli sembra insegnarci, come profondo ammonimento, che la perdita della religione trasforma tutto quanto. Si estingue sia l'autorità che l'eccezione: tutto sembra venir posto in dubbio e divenir fragile. Non vi è più nessuna assolutezza quando si arriva alla conclusione che nulla è vero e tutto è permesso. Con il disorientamento nasce il fanatismo che si chiude in strettoie e non vuole più pensare. Insieme alla religione come presenza della trascendenza svanisce la vera realtà. La religione ha perduto ogni forza, essa è come una statua che ha ancora l'apparenza splendida, ma che interiormente è già disgregata: un urto ed essa cadrà in polvere senza far resistenza ma, come per incantesimo, insieme a colui che l'ha urtata."
Per ciò che riguarda la commedia di Pirandello, consiglio di leggerla o vederla - se possibile. Sostanzialmente tratta di una vicenda piuttosto drammatica ambientata agli inizi del XX secolo. Una famiglia "bene" in cui il marito ha una relazione con un'altra la donna, la fidanzata di un tempo, forse perché la moglie non può dargli dei figli. Il rapporto fra marito e moglie si ricostruirà su una base paradossale: adottando la figlia avuta dall'altra donna e salvando in tal modo matrimonio e apparenze. L'altra donna accetta di cedere la figlia perché comprende che in tal modo le offre un futuro migliore, in una situazione agiata e facoltosa. Rimane sola e amareggiata.

Vorrei riportare qui, su questo mio Blog, la riflessione scritta che ho già proposto al gruppo degli amici. E' la seguente. La frase di Jaspers suggerisce come il mettere in discussione la religione, l'autorità e i valori connessi influenzi negativamente il benessere e l'armonia dei singoli individui e della società nel suo insieme, travolgendo perfino coloro che ne hanno contestato i principi. Questo crollo, sempre secondo il pensiero citato di Jaspers, sarebbe soprattutto legato alla perdita dell'assolutezza, di verità certe, al credere che "nulla è vero e tutto è permesso".Credo che l'armonia con il Sé, con la Coscienza, infonda equilibrio a tutte le attività umane e personalmente intendo per "religione" un contatto individuale sincero e profondo con la Legge Mistica, Dio, o come vogliamo definire quella verità fondamentale che sta alla base di tutto. Mi rendo conto, però, che di opinioni su questa "cosa" ce ne sono tante, tantissime, e che ognuna di esse è propagandata come l'ultima verità, mentre di fatto le credenze sono sempre state dei fattori di divisione e di violenza fra gli uomini. Normalmente i principi religiosi, infatti, sono - anche nelle persone più miti - quanto meno un metro di giudizio, soprattutto verso gli altri. E' molto frequente, infatti, che invece che applicarli su sé stessi, le persone tendano a volerli applicati, rispettati e realizzati dagli altri, verso i quali si rivolgono gran parte delle questioni moralizzatrici. Da questo punto di vista il pensiero citato di Jaspers risulta molto enigmatico: che cosa intendiamo per "religione" e, soprattutto, chi ne ha una giusta opinione, a quale autorità dobbiamo rivolgerci? Stiamo parlando di valori formali o sostanziali? E perché, ammesso che in passato questi valori ci fossero, oggi sono - secondo l'opinione corrente - mancanti o disattesi? A questo, mi sembra, può dare una risposta il lavoro di Pirandello: i principi impliciti ne "La ragione degli altri" e connessi con la famiglia e con la moralità sono soprattutto strumenti di violenza, di sopraffazione, e fondano probabilmente proprio su di una certa visione religiosa. Non prevale una sincera umanità, un dialogo caldo e aperto, bensì il freddo e cinico silenzio imposto dalle convenzioni, da ruoli inviolabili e da supposte autorità. Parafrasando il Vangelo direi in questo caso che gli uomini sono fatti per la Legge e non viceversa. Quelle convenzioni, alla fine, producono disastri, e a soccombere sono certamente i più deboli, coloro che non rientrano nelle regole e che non hanno il potere economico o sociale di trasformarle a loro piacimento pur conservando le apparenze impeccabili di un'illusoria moralità perbenista. Le mie reazioni alla visione della commedia di cui si parla sono la pena per quanto si è verificato in molte epoche del passato e il sollievo, l'enorme sollievo nel vivere oggi, in questo nostro mondo così contraddittorio eppure tanto più libero e consapevole. Un mondo che disattende certi valori semplicemente perché ne ha riconosciuta e rigettata la falsità, pur essendo certamente presente anche il rischio di buttare via insieme all'acqua sporca anche il bambino! Ho la sensazione precisa che l'umanità stia facendo un grande esperimento e andando verso una crescita graduale ma reale della coscienza. Verso una vera religiosità e una vera religione, sostanziale e concreta, il cui credo sia il rispetto degli altri e delle regole ma non la passiva e formale accettazione di vuote consuetudini, che non sia violenza ma apertura del cuore e della mente nei confronti di tutte le diversità che legittimamente costituiscono la famiglia umana. In definitiva, ricollegandomi anche al concetto espresso da Jaspers, la mia opinione è che oggi, finalmente, siamo un poco, soltanto un poco ma in maniera reale - senza maschere, false autorità e ipocrisie, più religiosi.

2 commenti:

  1. Ciao Maurizio. Sono dell'idea personale che il termine "religione" - di significato molto complesso in se - debba essere semplificato quando lo si rapporta all'individuo. Infatti credo che ognuno di noi debba tendere verso quella che mi piace di piu' chiamare "spiritualità" , che considero quel lato piu' intimo ed interiore dell'animo umano. Una spiritualità che comprenda il significato degli aspetti piu' profondi della relazione uomo-mondo e che sappia avvicinarli, rispettarli e riconoscerli continuamente, anche quando non è possibile "sentirli" come propri e non possono essere "integrati" in ogni loro aspetto alla nostra coscienza. L'aspetto spirituale non deve, a mio parere, seguire "all'oscuro" una religione piuttosto che un altra ma deve innanzittutto privilegiare un raccoglimento piu' intimo in se stessi, una comprensione autoriflessiva di chi siamo e del nostro rapporto, anche in divenire, con ogni parte del mondo che viviamo. Personalmente, poi, accolgo con piacere alcuni motivi della cristianità come alcuni di quelli impartiti dai 10 comandamenti. Mi sento molto vicino a cio' che Sant'Agostino affermava in alcuni passi nel "De vera Religione" quando cerca di spiegare come l'uomo, in se stesso, potesse essere fonte di verità d ancora, nel "De magistro", dove spiegava, quasi pedagogicamente, come l'intelletto fosse una dote da mettere a nostro servizio per scoprire quella verità intima di cui parla nel "De vera religione" In termini psicologici, quanto dice Sant'Agostino dal punto di vista filosofico-religioso, è assimilabile all' ottica "costruttivista" che, per prima, spiegò come l'uomo potesse avere un ruolo "attivo" nel mondo esperienziale"; un ruolo cioè di elaboratore d'informazioni, confutando scientificamente come la realtà non fosse soltanto "esterna" a lui, ma che, invece, lo "comprendesse". L'esistenzialismo filosofico di Jaspers fa largo uso dei termini col suffisso "com": pone cioè in "essere" l'uomo col mondo e il mondo con l'uomo. La fenomenologia, come termine, richiama empiricamente quanto l'esistenzialismo proponeva su un lato del suo versante filosofico: riconosce all'uomo la sua identità percettiva e sensoriale e, dunque, integra ancor di piu' il "messaggio" lanciato dai costruttivisti qualche anno prima. In sostanza, anche sotto l'aspetto scientifico, l'uomo è posto come una entità "autocomprensiva"; questo pone un ponte anche con la filosofia agostiniana di cui sopra, che diede all'uomo una "centralità religiosa" ancor prima che Freud gli desse una "centralità psichica". Non so se essere così ottimista con te come quando affermi che >... Prima di quella che io chiamerei "integrazione spirituale" rifacendomi al tuo "essere piu' religiosi", credo debba ancora avvenire un punto di svolta nella coscienza umana che ponga all'attenzione di tutti come lo "spirituale" debba disaffrancarsi da una società che ci vede ancora "techne-dipendenti". Un saluto, Giuseppe
    postato da Giuseppe il 17/07/2007 13:16

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  2. Giuseppe, le tue riflessioni sono interessanti e pertinenti, e ad esse non ho da aggiungere nulla - non avendo neanche un'adeguata preparazione filosofica. Per ciò che riguarda invece le tue ultime osservazioni, e cioè che una "vera" religiosità è ancora lontana perché siamo ancora troppo dipendenti da una mentalità, diciamo, materialista, o tecnicista, vorrei aggiungere questo: in linea generale sono d'accordo. E' vero: dobbiamo crescere, e molto. Però, per parafrasare un Maestro del buddismo, Nichiren Daishonin, "più buia è la notte, più vicina è l'alba". Secondo me non è soltanto una speranza, ma un'urgenza implicita nelle cose e nelle coscienze. I tempi incalzano. In profondità sappiamo tutti che i sistemi, le ideologie e le religioni fin qui adottate e perseguite sono arrivate al capolinea. Forse hanno avuto la loro funzione, ma hanno ormai perso efficacia. Forse perfino lo scientismo tecnologico non è più argomento di "fede", intendendo di una fede positivista e pragmatica, ideologica, piena di speranza per possibili conquiste future. Rimane solo questa sorta di "economismo" vuoto ed edonista che ancora viene propagandato e attuato come l'ultima verità. Però mi sembra che anche a livello generale si diffonda la precisa consapevolezza di questo vuoto. Ecco perché la sfida è qui e adesso, e riguarda tutti, non soltanto alcune classi di persone o alcune elite: o torniamo indietro pensando che i "valori" di una volta siano ancora validi e perseguibili (ma sono crollati - per lo meno sotto l'aspetto autoritario - ormai li percepiamo come limitati e limitanti, sarebbe un'involuzione, una chiusura); oppure andiamo avanti e riusciamo a integrare il nostro mondo in una nuova visione onnicomprensiva, in cui unità e diversità, soggetto e oggetto, io e l'altro, spiritualità e benessere materiale, uomo e ambiente possano coesistere con pari dignità. E' urgente. E' adesso. Mi sembra sia un processo inarrestabile. Non dico che nelle nostre vite attuali lo vedremo realizzato. Ma credo che sia già ora in atto.
    postato da Maurizio il 17/07/2007 14:33

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