martedì 25 luglio 2006

Codice da Vinci e Santo Graal.


Ecco qualche riflessione sul Codice da Vinci e sul suo enorme successo editoriale... Praticamente quasi tutti hanno letto il libro, e ora c'è anche il film! Senza entrare nel merito del racconto di Dan Brown e delle "rivelazioni" che egli fa su alcuni aspetti della storia del Cristo (tra l'altro già ben documentati in un testo degli anni '80, il "Santo Graal" - di Baigent, Leigh, Lincoln) vorrei cercare di capire da cosa origina l'enorme interesse collettivo che si è generato intorno ad esso. Innanzitutto c’è il richiamo alla figura di Leonardo da Vinci e, conseguentemente, al Rinascimento italiano: un’epoca di grande fermento che, nell’immaginario collettivo, è legata al genio, alla rivoluzione generata dalla mente dell’uomo, dalla sua abilità e conoscenza. Così è Leonardo: quasi un archetipo di chi è capace di comprendere i segreti del mondo e della vita. Il “Codice da Vinci”, dunque, allude proprio a questa conoscenza, alla custodia di un segreto, ad un’intelligenza illuminata che nasconde una verità sconvolgente lasciandone, però, alcuni precisi indizi che soltanto chi è abbastanza attento e preparato può riuscire a decifrare. Dunque, dicevamo, il genio, e un misterioso segreto. Poi c’è il “labirinto”: cioè la ricerca condotta attraverso una serie di indicazioni quasi indecifrabili, vicoli ciechi, false conclusioni e colpi di scena continui. Durante questa ricerca la realtà quotidiana assume una diversa capacità di comunicare significati, tutto diventa suggerimento, indicazione, allusione e dietro tutto, ancora, una mente – o più menti – che orchestrano il gioco, che lo hanno preparato per centinaia di anni. Menti che comprendono, che sanno, che allestiscono e proteggono una rivelazione rivoluzionaria. Contrapposte ci sono altre intelligenze che, però, sono intrise di potere, di corruzione, di avidità – che vogliono impedire il corretto svolgimento della ricerca e impossessarsi con la violenza del risultato. Qual è poi questo grande segreto, l’oggetto della contesa? Essenzialmente questo: che la religione, la scienza e il potere organizzati hanno volutamente distorto la verità delle cose, e che il “sacro” è molto più vicino a noi, oggi, di quanto si possa immaginare. Il lignaggio del Maestro non è distante e il Santo Graal, oggetto della ricerca più appassionante della storia dell’occidente, è il ventre della donna con la sua possibilità generativa, è – insomma – l’uomo stesso, l’uomo comune – con la sua normale biologia, con la sua psiche, con la capacità di vivere e trasformare la realtà. Il divino non è patrimonio di qualcuno, ma è nostro, siamo noi… In questo modo il “Codice da Vinci”, forse, ha risvegliato antiche simbologie, passioni addormentate, ha riscoperto la Cerca del Graal riambientandola e reinterpretandola per l’epoca attuale, sicuramente ispirando altri film, altri libri sull’argomento. Certamente il paragone fra Dan Brown e Chretien de Troyes è eccessivo e azzardato, pur essendo entrambi romanzieri di una saga mitica. Inoltre il fenomeno attuale può smorzarsi in un batter d’occhio – come succede nel nostro mondo dove le mode nascono e svaniscono soppiantate da altri fenomeni commerciali e di costume – mentre Chretien de Troyes ha dato inizio nel 1190 ad un interesse che è durato centinaia di anni e che, in un certo senso, ancora sopravvive. Anzi, sono abbastanza convinto che lo scrittore americano, Dan Brown, abbia saputo trovare un aggancio “popolare” a quella antica vena, a quella saga che, forse, non si è mai sopita nell’animo dell’occidente – perché parla al cuore e indica una religiosità viva, senza intermediari, misteriosa ma contemporaneamente vicina e accessibile per tutti noi.

1 commento:

  1. In merito al libro di Dan Brown e al tuo articolo sulla ricerca del Graal: Come pensi che l'uomo possa ri-incontrare il divino se ci crogioliamo con pensieri che altro non sono se non processi di riduzionismo all'ordinaria quotidianità di ciò che è più sacro nell'uomo stesso: la ricerca della Verità? Quando faccio questa affermazione non mi riferisco a una Verità astratta che non si raggiunge mai, o al credere in f orza di una fede cieca che ci introduce a Verità ugualmente astratte. Mi riferisco a una Ricerca che è il percorso proprio di ogni essere umano, che seriamente si ponga di fronte alla propria esistenza e ne ricerchi il senso. E' vero che il divino è in ciascun uomo, ma questo non ha niente a che fare con la vita ordinaria di ciascuno di noi perlopiù scandita da pensieri, che se non osservati poco hanno di divino. Il lavoro, dovrebbe essere quello di applicarsi, per quanto è possibile, intervenendo proprio nella vita e nei pensieri ordinari (attaccamento, possesso, invidia, avidità ecc. ecc) che celano l'elemento più prezioso di ciascuno di noi. Su questa natura (umana troppo umana) con opere di quel tipo, molto spesso si indulge, ci si compiace e, a dire il vero il loro successo si può facilmente spiegare: non c'è da sforzarsi in ricerche esasperate, virtuose, poichè la verità è quella dell'uomo ordinario, nella sua natura, nei suoi istinti nelle sue passioni ecc.
    postato da mp il 31/08/2006 15:30

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