lunedì 27 febbraio 2006

Freud e la Cabala ebraica.


Non si può negare che Sigmund Freud sia stato uno dei grandi geni dell’era moderna e, in generale, della storia del pensiero auto-conoscitivo. Molto si può dire di lui, anche nella direzione della critica alle sue concezioni e, ancora oggi, si discute sul suo presunto o reale pan-sessualismo. E’ stato, comunque, un iniziatore, un pioniere dell’indagine sulla psiche e sull’inconscio, e tutti coloro che probabilmente sono anche riusciti a superare i limiti delle sue teorie creando una contrapposizione dottrinaria – come Carl Gustav Jung – hanno con lui un debito: egli per primo, infatti, ha saputo tracciare nuove frontiere e oltrepassare le vecchie concezioni e pastoie della scienza indicando prospettive ulteriori. Il pensiero di Freud, tuttavia, può apparire riduttivo, ispirato ad un certo tipo di cultura scientifica condizionata dalla mentalità ottocentesca e dalla società di epoca vittoriana; ma tutto ciò è già stato detto molto meglio e in maniera approfondita da altri. Quello che vorrei sottolineare è il fatto che egli era nato nell’ambito di una specifica tradizione culturale: quella ebraica. Era uno scienziato, si dichiarava ateo e la religiosità, apparentemente, non era in relazione con il suo lavoro se non come oggetto di studio; in quelle opere nelle quali se ne è occupato, il suo giudizio è stato – in un certo senso – smitizzante, riconducente tutta la tematica della fede a impulsi e motivazioni di ordine istintuale e subconscio. Viene, però, da chiedersi: la religione dei padri, essendone il retroterra culturale, in che misura ne ha informato le idee, le concezioni, i risultati conoscitivi? Ricordiamo che i suoi primi e principali allievi furono quasi tutti ebrei, ad eccezione principalmente di Jung che, per il Maestro, costituiva la speranza di estendere il suo metodo al mondo non-ebraico dei Gentili. Tuttavia Freud, soprattutto nel momento della rottura dottrinaria con il grande psicologo svizzero, scrisse che la Psicoanalisi era senz’altro più comprensibile e poteva meglio essere accolta dagli ebrei, mentre sia Jung che il resto della società dell’epoca avevano delle resistenze per quello che, sostanzialmente, era un sistema ebraico. In effetti, soltanto considerando l’”Interpretazione dei sogni”, non possiamo non pensare ai grandi sogni biblici e al fatto che nella Genesi abbia una particolare rilevanza proprio un interprete onirico, Giuseppe. Inoltre tutti i lavori di Freud sui lapsus, le dimenticanze e via dicendo, sembrano ricordare molto da vicino i metodi della Cabala per la decodificazione dei numeri, delle lettere, con l’utilizzo di anagrammi e vari altri espedienti, vedi la Gematria, la Temurah, il Notariqon, eccetera. Persino la freudiana teoria della sessualità, in un certo senso, non è lontana dalle radici israelite: pensiamo che nella Cabala la Sefirah Yesod è connessa con il sesso ed è il Fondamento dell’Albero della Vita; oltre a ciò la ‘generazione’ e la discendenza sono alla base della maggior parte delle profezie e promesse che il Dio d’Israele fa al suo popolo, testimoniando così l’estrema importanza attribuita dalla cultura ebraica alla sessualità e alla riproduzione. Non ultimo risulta il fatto che la circoncisione, in qualità di principale segno dell’alleanza fra l’uomo e Dio, abbia un evidente significato genitale e pulsionale, interpretabile – con l’utilizzo delle stesse teorie di Freud – come la sottomissione ad un ‘maschio dominante’, ad un Padre, tramite una castrazione simbolica all’interno di una società di tipo tribale. Alla fine della sua vita comunque, il Maestro della Psicoanalisi tornerà in maniera sempre più evidente alla religiosità d’origine – in ogni caso mai rinnegata del tutto tranne che per un breve periodo in età giovanile – sia attraverso le sempre più sentite frequentazioni con circoli ebraici, dove si percepiva unito agli altri da tradizionali legami di sangue e cultura e si sapeva protetto e accolto, sia con il suo ultimo saggio, quello su Mosè e il monoteismo. Non possiamo con ciò affermare che Freud abbia recuperato la sua tradizione nel senso della fede, tuttavia bisogna riconoscere che era sempre più attratto dallo studio e dalla elaborazione delle tematiche della cultura israelita. Egli fondamentalmente ci ha mostrato con i suoi ragionamenti come la religione sia un fenomeno atavico quanto irrazionale, originato nell’uomo dal sentirsi in balìa delle forze incomprensibili e incontrollabili della vita e della morte: per reagire allo sgomento e alla paura la psiche ha riproposto nei sistemi religiosi una situazione analoga a quella della prima infanzia, quando il padre o le figure genitoriali hanno un carattere onnipotente e conferiscono protezione quando si rispettano le loro regole non trasgredendone indicazioni, ordini e proibizioni. A questo punto sembra importante chiedersi: se invece esistesse qualcosa nella ricerca religiosa dell’uomo che avesse una qualche validità ulteriore, se la fede nel suo senso più ampio avesse davvero al suo interno un elemento connesso con una verità sostanziale e superiore, non dovremmo convenire che anche nell’intimo di uno scienziato e di un ateo quale era Freud, poteva esservi un’attrazione, un forte richiamo rispetto a questo nucleo ‘spirituale’? Certamente la sua cultura, orientata alla scienza moderna e razionalista, con in più il desiderio profondo di essere accettato al di là del suo ebraismo d’origine, poteva impedirgli di diventare cosciente di questo ‘qualcosa’ che, come le esperienze mistiche insegnano, la mente non può afferrare e affermare con la sola analisi intellettuale. Il discorso potrebbe quindi paradossalmente ribaltarsi: in un’era come quella ‘moderna’, in cui l’uomo ha raggiunto un grande sviluppo razionale, la Scienza e la Ragione – più che la Religione - assurgono al ruolo di figure genitoriali protettive, gelose e autoritarie che, se si contravviene alle loro regole, possono punirci lasciandoci in balìa di un universo incomprensibile e spaventoso. Nella visione conoscitiva dell’epoca del Maestro della Psicanalisi, un cedimento alla Fede - probabilmente ancor più che oggi, dove invece la ‘divinità’ pare essere l’Economia – era forse come concedersi a forze pulsionali primitive, occulte e incontrollabili. Tuttavia, come ci ha insegnato lo stesso Freud, ciò che viene rimosso e represso dalla coscienza tende a riemergere comunque in maniera inconscia e, infatti, la tematica religiosa sembra premere e cercare di manifestarsi proprio nella sua opera. Se ciò fosse vero, il significato più profondo del suo lavoro – connotato dal forte accento sull’Eros – potrebbe interpretarsi nel senso più ampio di Amore, venendo così a coincidere anche filosoficamente con l’equilibrio dell’esistente e con la sua conservazione attraverso l’unione degli opposti quali la vita e la morte. In tal modo potremmo, amplificando le concettualizzazioni strettamente psicoanalitiche di Freud, trovare una maggiore comprensione del suo cosiddetto pan-sessualismo che, nei lavori della maturità del grande Psicoanalista, effettivamente diviene un concetto sempre meno legato alla genitalità, sviluppandosi verso una dimensione sempre più universale.

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