venerdì 9 ottobre 2009

L'uomo collettivo


Immaginiamo un "uomo qualunque", ma uno talmente qualunque da aver raggiunto il successo e, soprattutto, essere diventato ricco pur rimanendo uno qualunque. Le sue opinioni sono dozzinali, collettive, di massa. I suoi divertimenti, le sue battute scherzose altrettanto. La morale è quella standard, come pure la sistematica violazione di essa - standard! E' facile identificarsi in lui, è facile difenderlo: basta non pensare, basta non avere una individualità, ma vivere soltanto negli stadi calcisitici e appesi all'informazione televisiva più plastificata e pubblicitaria. Basta provare quel fastidio sottile rispetto all'indipendenza, alla profondità, a quel genere di libertà che deriva dal rispetto per sé stessi, gli altri e il mondo. Quel genere di libertà è difficile da perseguire perché non è precostituita, non ha sovrastrutture, è responsabile, richiede impegno individuale e, soprattutto, non è arbitrio.


Qualora un Paese arrivasse ad una tale crisi di valori, di pensiero e di indipendenza da non essere più capace di intravvedere un futuro basato sulla responsabilità di ogni singolo componente della società, sull'unità nella diversità, allora tale Paese potrebbe offrire le più alte responsabilità politiche, di governo e guida dell Stato a quell'Uomo Collettivo di cui parliamo. Perché è ricco, perché ha successo nonostante la sua superficialità o, forse, grazie ad essa. Ognuno può identificarsi in lui, può concepire una libertà senza sforzo, irresponsabile, una felicità come quella che si vagheggia giocando la schedina o al lotto.


L'esercizio del potere dell'Uomo Collettivo e senza qualità, di quell'uomo-solo-quantità, oscillerebbe dal gesto di facile sentimentalismo alla dura violenza originata dal giudizio aprioristico, sempre senza mai sfiorare un pensiero indipendente e autonomo, ma soltanto quello degli slogan pubblicitari - compresi quelli di tono moralistico. La sua abilità nell'avere e la sua assenza nell'essere, il suo incarnare solo la quantità e mai la qualità, potrebbe perfino essere scambiato per genio, per innovazione, per simpatica eccentricità.


L'Uomo Collettivo, in realtà, esprime una speranza, un ideale, un desiderio di molti: la realizzazione della felicità senza lavorare su sé stessi, senza mettersi in discussione, senza cambiare, senza affrontare la solitudine del dubbio salvifico, rimanendo abbarbicati al passato, alle sicurezza, ai propri piccoli o grandi privilegi. Da qui il suo successo. Tramonterà soltanto quando la "massa" più o meno organizzata e più o meno passivamente gerarchizzata delle persone saprà trasmutarsi in una società di individui veri, differenti fra loro, non spaventati dalle reciproche diversità, ma capaci di essere responsabili e collaborativi.

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