martedì 20 ottobre 2009

Jñana: conoscenza, traslitterazione e suscettibilità.



Jñana è la parola sanscrita per "conoscenza", da cui deriva probabilmente la parola greca Gnosi di uguale significato. Naturalmente, per quanto riguarda queste e altre lingue, le parole vengono traslitterate nell'alfabeto occidentale moderno in vario modo e con diversi sistemi per cercare di rendere la pronuncia originale nella maniera più precisa possibile. Sfortunatamente, però, le traslitterazioni sono solo indicazioni che bisognerebbe approfondire, perché non sempre offrono immediatamente e intuitivamente la corretta soluzione. Per questo motivo alcune parole, pure molto note, non sono conosciute nella vera pronuncia al di fuori dell'area culturale di provenienza. Capita quindi di incontrare persone che per anni si sono interessate per esempio di Yoga, filosofie e tecniche orientali, che non sanno come si pronuncia Jñana - parola che nello Yoga ha una certa importanza: esiste, infatti, lo Jñana Yoga, lo Jñana Mudra, gli Jñanendriya (i sensi come organi di conoscenza), esistono nella Bhagavad Gita e nei testi buddhisti parole composte come Vijñana, eccetera, eccetera. Queste persone pronunciano g-nana, con la "g" di giorno. Intendiamoci, non è un grosso problema, si può anche vivere senza sapere che in realtà si dice gnana con la "gn" di sogno o, in altro dialetto indiano, ghiana - con la "g" dura. Le ricerce e gli interessi di queste persone sono comunque valide e degne di rispetto, ci mancherebbe altro! Eppure può capitare com'è successo a me che, offerta la giusta indicazione di pronuncia, questo semplice fatto metta tali persone in difficoltà - come se si ferisse la loro suscettibilità di conoscitori della materia.
La loro prima reazione, quindi, nel mio caso, è stata di negare valore alla corretta pronuncia, asserendo che ciò che importa è il concetto sostanziale e che la parola è soltanto un fatto esteriore, vuoto e superficiale. Eppure la cultura indiana cui appartiene il termine in esame è prevalentemente "mantrica", cioè attribuisce un enorme valore, anche filosofico e metafisico, al suono delle parole (shabd);
La seconda reazione è stata pretendere che la persona che sventuratamente ha offerto la precisazione (cioè io) l'abbia fatto per apparire più colta e preparata, insomma con intento narcisistico.
La terza reazione è stata quella di fare della facile (ma molto elaborata) ironia sulla venerazione del Sanscrito da parte di chi si documenta sulla pronuncia di una parola di questa lingua e ha anche la pretesa di farlo sapere agli altri!
A questo punto, dopo aver tentato di replicare senza riuscire ad instaurare un vero dialogo sull'argomento, mi sono chiesto perché mai l'avevo affrontato, chi me l'aveva fatto fare! E' stato allora che, intuendo il mio disagio, le persone in questione hanno manifestato una quarta reazione: quella di presumere che mi ero offeso per le loro osservazioni (pseudo-)ironiche! Insomma, come si dice in napoletano... curnut' e mazziat'!!!
Vorrei, comunque, chiarire almeno qui i seguenti punti:
  • non attribuisco un valore assoluto alle pronunce, alle regole grammaticali, alle precisazioni concettuali, alle ricerche filologiche, storiche, contestuali - però sono interessato a tutte queste cose come strumenti limitati ma utili alla... conoscenza (Jñana!);
  • nello studio del testo di una diversa area culturale mi sembra doveroso fare un minimo di attenzione alla provenienza, al sub-strato antropologico, storico e simili, se non altro per cercare di comprendere - per quanto possibile - le intenzioni degli autori, il significato del testo stesso, eccetera;
  • una cosa è l'erudizione fine-a-sé-stessa, una cosa è il rispetto degli altri, delle altre lingue, delle altre civiltà;
  • errori e imprecisioni sono possibili e accettabili da tutti i punti di vista, ma non vedo perché rifiutare le eventuali correzioni;
  • se perfino la pronuncia corretta di un termine sembra un elemento superficiale e insostanziale, mi chiedo perché prendere spunto per le ricerche cosiddette "spirituali" da culture diverse dalla propria, dato che richiedono un certo impegno di comprensione e approfondimento;
  • attingere da testi di altre religioni e filosofie solo per confermare il proprio punto di vista e ritenendo superfluo tutto quanto non vi rientra equivale a depredare. Mi ricorda quel racconto (probabilmente leggendario) sull'incendio dei libri della Biblioteca di Alessandria da parte del Califfo Omar che si dice affermò: "In quei libri o ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che del Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono presenti allora sono dannose e vanno distrutte".

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